Sono passati sette anni da quel 6 aprile che tutti noi ricordiamo: in quella notte siamo stati svegliati anche noi dal terremoto, parola che evoca paura, distruzione e perdita di certezze.
Penso che ognuno di noi si ricordi delle prime notizie ascoltate via radio, delle immagini terribili in onda in TV e degli aggiornamenti che giorno dopo giorno arrivavano da quel capoluogo che ora tutti associano immediatamente al sisma: L’Aquila.
Parallelo al lavoro dei tantissimi volontari che hanno prestato soccorso nell’immediato per portare un aiuto concreto e necessario nelle tendopoli, c’è stato un intervento più silenzioso e prolungato nel tempo: quello della Caritas.
Per far fronte alle necessità della popolazione, Caritas Italiana ha chiesto alle Delegazioni regionali Caritas di esprimere la propria prossimità attivando dei gemellaggi – già sperimentati con successo a partire dal terremoto in Friuli nel 1976 e più di recente in Umbria nel 1997 e in Molise nel 2002 – con le comunità dell’Arcidiocesi de L’Aquila.
Suddivisione della diocesi AQ nei gemellaggi
Con questo spirito è iniziato il lavoro tra Chiese sorelle che ha legato le comunità aquilane della zona Pizzoli-Montereale alla Chiesa Marchigiana e Lucana. Da giugno 2009 a settembre 2010, ha avuto inizio quello che ho sempre definito il nostro gemellaggio ‘casalingo’. Noi operatrici Caritas abbiamo abitato in una casetta a Pizzoli che è stata in quei mesi luogo di scambio, di accoglienza, di riunioni, di progettazioni con i parroci e le persone del posto, con i volontari che dalle Marche e dalla Basilicata arrivavano per portare la loro vicinanza alle popolazioni colpite.
La zona assegnata alla nostra delegazione, fortunatamente, non era stata danneggiata particolarmente dal punto di vista materiale anche se i luoghi di culto e di aggregazione parrocchiale erano in molti casi inagibili. Il terremoto aveva colpito soprattutto gli animi, le speranze e la volontà di fare. Gli stessi parroci hanno vissuto la disgregazione delle proprie comunità parrocchiali, il problema di dover riavviare le attività pastorali senza la disponibilità di un luogo di culto o di ritrovo.
È in questo contesto che si è sviluppato il gemellaggio: in semplicità, senza azioni eclatanti, nella condivisione dei momenti di servizio, di incontri, di preghiera e di convivialità, ripartendo dalle piccole cose e cercando di dare, dove possibile, una spinta in più, un’occasione in più per approfondire la fede.
Partecipare o animare la Messa con i canti, essere presenti alla recita del rosario con gli anziani che abitavano nei MAP (moduli abitativi provvisori), programmare insieme ai catechisti gli incontri con i bambini ed i ragazzi, prendere un caffè a casa di chi ci invitava ed apriva oltre che la sua casa il suo cuore, ascoltare, passare per un saluto, fare da ponte tra parrocchie marchigiane e le parrocchie accompagnate…Si è condiviso, insomma, l’ordinarietà, la quotidianità della vita delle persone e delle comunità, mettendo al primo posto le relazioni.
Il gemellaggio è stato questo e tanto tanto altro ancora: amicizie che non si sono perse, affetti che sono rimasti e che sono andati oltre il momento dell’emergenza ed una comunione, in quel Pane, che dà la certezza di continuare ad essere amici nonostante i chilometri ed il tempo che passa.
– Noemi Tamburrini –
Due giorni di gemellaggio a Morrovalle per gli abitanti di Pizzoli e Arischia, ospiti presso le famiglie di Morrovalle
Augurio e piccolo dono per gli abitanti dei MAP a Pizzoli
Saluto e piccolo dono per i bambini e per gli anziani
Uno dei pranzi organizzati nella nostra casa per incontrare e creare momento di convivialità tra i parroci della nostra zona
Momento di festa organizzato dalle comunità parrocchiali per salutare i seminaristi marchigiani che hanno accompagnato le comunità per diversi fine settimana