La liturgia e la storia della salvezza SC 2-13
Il Documento Conciliare dedicato alla liturgia, Sacrosanctum Concilium, si apre nei numeri da 2 a 13 indicando le idee fondamentali che segnano la liturgia cristiana.
La prima è che: la celebrazione della liturgia e la Chiesa nella sua natura più intima sono profondamente collegate.
Il numero 2 è infatti intitolato “La liturgia nel mistero della Chiesa”. E si apre con queste parole: “La liturgia infatti, mediante la quale, specialmente nel divino sacrificio dell’eucaristia, «si attua l’opera della nostra redenzione» contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa”.
La prima idea significativa è che nella liturgia, non si raccontano fatti o si fanno gesti che colpiscono la nostra emozione, come qualcuno potrebbe pensare, ma “accade” qualcosa di concreto e di oggettivo. Nella liturgia avviene, si compie “l’opera della nostra redenzione”, cioè l’azione di Dio che in Cristo e per opera dello Spirito ci salva, ci tende capaci di vincere il male e di fare il bene. Questa azione si realizza per noi.
Nel vangelo di Luca, raccontando la visita di Gesù a Nazareth e la sua partecipazione ad una liturgia in sinagoga, l’evangelista mostra la novità cristiana con queste parole. Gli ebrei in sinagoga leggevano e ricordavano i fatti del passato, Gesù dopo aver letto il profeta Isaia proclama invece: “oggi, per voi che ascoltate, queste parole si sono compiute”.
Il resto del documento conciliare chiarirà che ciò che ci salva, come è avvenuto per tutti i personaggi del vangelo, è l’incontro con Cristo. Nell’eucarestia, come avveniva ai discepoli o ai malati o ai peccatori lungo le pagine evangeliche, incontriamo realmente Gesù e questo incontro ci cambia, ci salva, ci redime.
Questo fatto si mostra concretamente nella vita perché chi celebra l’eucarestia e fa così l’esperienza dell’incontro con Cristo, diventa capace di manifestare agli altri chi è quel Gesù che ha incontrato.
Ma siccome noi non incontriamo Gesù in una maniera immediata e quasi magica, ma attraverso la mediazione della chiesa, della comunità credente che ce lo testimonia e ce lo rivela, conosciamo e comprendiamo insieme anche la Chiesa.
Nella liturgia incontriamo una realtà fisica, concreta, visibile ed udibile di parole, di gesti, di simboli, che ci mettono in contatto con una realtà invisibile e spirituale, con la presenza soprannaturale del Cristo Signore che ci viene incontro.
Questa esperienza di Dio che passa attraverso la concretezza delle cose del mondo per farsi incontro a noi, la viviamo attraverso la Chiesa e ci aiuta a comprendere non solo Dio, ma anche la stessa misteriosa natura della Chiesa.
Continua infatti il testo conciliare: “Questa” cioè la chiesa “ha infatti la caratteristica di essere nello stesso tempo umana e divina, visibile ma dotata di realtà invisibili, fervente nell’azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e tuttavia pellegrina”.
Quando nella liturgia preghiamo nella chiesa e con la chiesa, cioè inseriti nella comunità che prega con noi e ci accoglie nella sua preghiera, facciamo una esperienza che potremmo descrivere come una particolare profondità di gesti e parole. Ne vediamo e sperimentiamo la concretezza ed umanità, ma al tempo stesso sentiamo sempre più chiaramente che secondo la promessa di Gesù. “Dove due o più sono riuniti nel mio nome, Io sono in mezzo a loro”. Così come dicono i padri della Chiesa: quando il sacerdote o il Diacono proclamano il vangelo io sento la loro voce umana, ma sperimento che è Cristo che mi parla.
Questa profondità della liturgia, per cui le parole e le azioni sono umane e divine al tempo stesso, è tanto più luminosa, quanto più schietta è la fede di chi vive la celebrazione.
Dice infatti SC al n 11 “Ad ottenere però questa piena efficacia” della liturgia “è necessario che i fedeli si accostino alla sacra liturgia con retta disposizione d’animo, armonizzino la loro mente con le parole che pronunziano e cooperino con la grazia divina per non riceverla invano”.
E più la fede celebra, più sperimentando la realtà dell’incontro con Cristo, cresce e diventa capace di visione soprannaturale. Così si diventa capaci di vedere nella comunità che celebra e di cui facciamo parte, non sola l’aspetto umano, ma anche quello divino.
Tanto che con noi non celebra solo la comunità terrena, ma tutta la chiesa, anche quella dei santi nel cielo. Dice SC 8 “Nella liturgia terrena noi partecipiamo per anticipazione alla liturgia celeste”.
Questa esperienza crescendo nel tempo ci mostra sempre più chiaramente che se all’inizio è l’aspetto umano, visibile e tangibile, che ci impressiona e ci colpisce, poi comprendiamo sempre meglio che invece è l’aspetto divino quello che domina e che è preponderante.
Banalizzando un poco, per cercare di essere meglio comprensibili, prima sperimento di far parte di una comunità perché sento forte il legame affettivo ed emotivo con loro quando preghiamo insieme. Se poi progredisco nel cammino di fede, sarà sempre più chiaro che ciò che mi lega a loro è il legame con lo stesso Signore che incontriamo nell’eucarestia, la relazione con lo stesso Spirito santo ricevuto nel battesimo. Tanto che se il legame istintivo ed emotivo che prima ci legava su un piano umano, si affievolisse, perché percepisco la fatica della relazione umana per il peccato mio e degli altri che conosco sempre meglio, la profondità del legame nello Spirito mi comunica la forza di perdonare, di sentirmi interiormente vicino anche a chi si rivela umanamente scostante, e poco “gradevole”.
Continua infatti il testo conciliare: “tutto questo in modo tale, però, che ciò che in essa” cioè nella Chiesa “è umano, sia ordinato e subordinato al divino, il visibile all’invisibile, l’azione alla contemplazione, la realtà presente alla città futura, verso la quale siamo incamminati”.
Un grande teologo protestante, morto confessando la sua fede nel campo di concentramento nazista di Buchenwald, Dietrich Bonhoeffer, diceva che inizialmente una comunità che vive la fede e la celebra è unita da motivi psichici, psicologici. Se matura e cresce nella verità del vangelo, il legame che la cementa diventa sempre più pnueumatico, cioè spirituale, fondato sullo Spirito Santo. Questo cammino che conduce dall’umano al divino attraverso la crescita della fede di coloro che celebrano, riguarda ognuno di noi, che inizia a vivere la liturgia fin da bambino condotto da motivi più psicologici che spirituali, ma continua e cresce nella fede e nell’amore alla liturgia sono se questa esperienza diventa sempre più spirituale e meno emotiva e psicologica. In queste poche considerazioni appare già il motivo per cui molti iniziano a partecipare alla eucarestia da bambini, ma ben presto smettono.
Continua infatti SC 2:
“In tal modo la liturgia, mentre ogni giorno edifica quelli che sono nella Chiesa per farne un tempio santo nel Signore, un’abitazione di Dio nello Spirito, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo, nello stesso tempo e in modo mirabile fortifica le loro energie perché possano predicare il Cristo”.
E’ la liturgia vissuta con fede che edifica, cioè costruisce su solide fondamenta, la nostra vita spirituale. Da bambini che vivono di emozioni fragili e passeggere, ci fa diventare adulti nella fede, capaci di annunciare agli altri il vangelo di quell’incontro con Cristo vivo che sempre meglio sperimentiamo nella celebrazione. Se avessimo tanti cristiani che non solo vanno a messa, ma celebrano così la liturgia vivendo e crescendo ogni giorno nella fede, potremmo attirare il mondo verso questa bellezza.
Conclude infatti SC 2:
“Così a coloro che sono fuori, essa”, cioè la liturgia, “mostra la Chiesa, come vessillo innalzato di fronte alle nazioni, sotto il quale i figli di Dio dispersi possano raccogliersi, finché ci sia un solo ovile e un solo pastore”.
Il Concilio viveva e testimoniava così una piena fede nel fatto che se la comunità cristiana non si limitava a fare dei riti, ma celebrava con fede la vera divina liturgia, favorendo all’umanità l’incontro con il Cristo vivo e presente, avrebbe convertito il mondo non per forza, ma per attrazione. Nella certezza che ogni cuore umano è fatto per incontrare Dio e quando gli viene offerta una occasione vera e concreta di fare questo incontro, ne resta conquistato.
Per questo SC 10 osa dire con una frase diventata celebre che “la liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia”.
È questo il punto di partenza della riflessione della SC che al n 5 propone in sintesi una rilettura della storia dell’incontro tra Dio e l’umanità. Questa storia è definita “Storia di salvezza” perché è dominata dal desiderio di Dio ben espresso da S. Paolo: “Dio «vuole che tutti gli uomini si salvino e arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tm 2,4)” per questo “«dopo avere a più riprese e in più modi parlato un tempo ai padri per mezzo dei profeti» (Eb 1,1), quando venne la pienezza dei tempi, mandò il suo Figlio”.
Attraverso la persona di Gesù Dio è venuto incontro all’uomo ed ha restaurato la comunione tra il creatore e la sua creatura che il peccato aveva infranto. Questa storia in cui si compie la salvezza, continua nel tempo, quando Gesù continua ad incontrare l’umanità per metterci in una comunione sempre più intensa e vera con Dio.
Questo si attua attraverso la mediazione della Chiesa perché suggerisce SC 6 “come il Cristo fu inviato dal Padre, così anch’egli ha inviato gli apostoli, ripieni di Spirito Santo. Essi, predicando il Vangelo a tutti gli uomini, non dovevano limitarsi ad annunciare che il Figlio di Dio con la sua morte e risurrezione ci ha liberati dal potere di Satana e dalla morte e ci ha trasferiti nel regno del Padre, bensì dovevano anche attuare l’opera di salvezza che annunziavano, mediante il sacrificio e i sacramenti attorno ai quali gravita tutta la vita liturgica”.
Cioè la Chiesa non si limita ad annunciare ciò che Gesù ha fatto, ma attraverso i sacramenti ci mette in contatto vero e sanante con lui che opera la salvezza.
Ciò si attua primariamente attraverso il battesimo. Dice infatti SC 6: “mediante il battesimo, gli uomini vengono inseriti nel mistero pasquale di Cristo: con lui morti, sepolti e risuscitati, ricevono lo Spirito dei figli adottivi”. E si fortifica e consolida attraverso la celebrazione dalla eucarestia, continua infatti: la Chiesa “celebra l’eucaristia, nella quale vengono resi presenti la vittoria e il trionfo della sua morte”.
SC 6 svela ciò che accade, in maniera invisibile ma efficace, quando celebriamo l’eucarestia con l’idea che: “viene resa presente la vittoria e il trionfo della morte di Cristo”. Cioè non solo ricordiamo il mistero pasquale come un fatto accaduto nel passato, ma lo rendiamo realmente ed efficacemente presente. È l’idea che si esprime dicendo che la messa non è solo un ricordo della morte e resurrezione di Gesù, ma un “Memoriale” dell’intero mistero pasquale. Il mistero della pasqua, la vittoria pasquale di Cristo sulla morte, diventa presente in mezzo a noi e ci coinvolge, trasmettendo anche a noi la forza della resurrezione, così il battesimo ravviva la sua efficacia e ci radica nella comunione con Dio come suoi figli adottivi.
Il bellissimo n 7 che segue, con la chiarezza che lo contraddistingue, mostra come ciò accade ogni volta che celebriamo l’eucarestia, basta leggerlo con attenzione:
“Per realizzare un’opera così grande, Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle azioni liturgiche.
È presente nel sacrificio della messa, sia nella persona del ministro, essendo egli stesso che, «offertosi una volta sulla croce, offre ancora sè stesso tramite il ministero dei sacerdoti», sia soprattutto sotto le specie eucaristiche. È presente con la sua virtù nei sacramenti, al punto che quando uno battezza è Cristo stesso che battezza. È presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura. È presente infine quando la Chiesa prega e loda, lui che ha promesso:
«Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro» (Mt 18,20).
Effettivamente per il compimento di quest’opera così grande, con la quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati, Cristo associa sempre a sé la Chiesa, sua sposa amatissima, la quale l’invoca come suo Signore e per mezzo di lui rende il culto all’eterno Padre. Giustamente perciò la liturgia è considerata come l’esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo. In essa, la santificazione dell’uomo è significata per mezzo di segni sensibili e realizzata in modo proprio a ciascuno di essi; in essa il culto pubblico integrale è esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra. Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun’altra azione della Chiesa ne uguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado”.
Al cuore di questo passaggio viene sinteticamente ribadito ciò che accade nella celebrazione liturgica: “viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati”.
Questa grande stima che la SC mostra di avere della preghiera liturgica, cioè la preghiera celebrativa e comunitaria, non cancella né mette in ombra il valore della preghiera personale di ogni cristiano. SC 12 dice infatti: “La vita spirituale tuttavia non si esaurisce nella partecipazione alla sola liturgia. Il cristiano, infatti, benché chiamato alla preghiera in comune, è sempre tenuto a entrare nella propria stanza per pregare il Padre in segreto; anzi, secondo l’insegnamento dell’Apostolo, è tenuto a pregare incessantemente”. E con profonda sapienza pastorale nota al n 13 che anche tante pie pratiche, non propriamente liturgiche, possono contribuire alla edificazione spirituale dei credenti. “Bisogna però che tali esercizi siano regolati tenendo conto dei tempi liturgici e in modo da armonizzarsi con la liturgia; derivino in qualche modo da essa e ad essa introducano il popolo”.
Il resto della SC che continueremo a leggere e commentare mostrerà in maniera approfondita e ancora più chiara il valore ed il significato di queste azioni attraverso cui, per noi, si compie la salvezza.