Omelia Messa Crismale

24-03-2016

Cari fratelli nel Sacerdozio e figli prediletti affidati al mio ministero episcopale insieme con i Diaconi ed i Seminaristi,

in questo Giovedì Santo, fortemente caratterizzato dall’Anno Santo della Misericordia che stiamo celebrando, vorrei rileggere con voi le parole davvero ispirate di una lettera che San Giovanni Paolo II inviò ai Sacerdoti per il Giovedì Santo 2001.

Si era appena concluso il Giubileo del 2000 nel quale molti sperimentammo una significativa riscoperta del sacramento della confessione da parte di tanti fedeli e soprattutto giovani. Ho ancora nel cuore le tante ore di confessioni legate alla GMG del 2000. Per tanti preti fu una riscoperta del proprio sacerdozio, che ci costituisce Ministri della Misericordia.

San Giovanni Paolo II nella sua lettera volle aiutarci a rileggere questa bella esperienza innanzi tutto ringraziando i sacerdoti per questo lavoro umile e prezioso di celebranti della misericordia. Diceva: “Penso al lavoro che svolgete ogni giorno, lavoro spesso nascosto, che, pur non salendo alla ribalta delle cronache, fa avanzare il Regno di Dio nelle coscienze. Vi dico la mia ammirazione per questo ministero discreto, tenace, creativo, anche se rigato talora di quelle lacrime dell’anima che solo Dio vede e: “raccoglie nel suo otre”. Ministero tanto più degno di stima quanto più provato dalle resistenze di un ambiente ampiamente secolarizzato, che espone l’azione del sacerdote all’insidia della stanchezza e dello scoramento. Voi lo sapete bene: questo impegno quotidiano è prezioso agli occhi di Dio”.

Anche le fatiche pastorali supplementari, che questo Anno Santo della Misericordia porta con sé e che vi assicuro portiamo insieme, sono segnate da consolazioni profonde. Molti di voi mi hanno parlato di tante belle celebrazioni penitenziali legate al pellegrinaggio, molto partecipate, che ci aprono il cuore alla fiducia in Dio e nei fratelli. Come narra il libro degli Atti, in cui Gesù appare a Paolo per consolarlo della sua fatica di evangelizzatore, anche noi ci sentiamo ripetere: «Non aver paura, ma continua a parlare e non tacere, perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del male, perché io ho un popolo numeroso in questa città». (Atti 18,9-10).

Nella sua Lettera, San Giovanni Paolo II, ci invitava a vivere tutto il Giovedì Santo nello sguardo contemplativo centrato sulla misericordia:

“Guardando a Cristo nell’ultima Cena, al suo farsi «pane spezzato» per noi, al suo chinarsi in umile servizio ai piedi degli Apostoli, come non provare, insieme con Pietro, lo stesso sentimento di indegnità dinanzi alla grandezza del dono ricevuto? «Non mi laverai mai i piedi!» (Gv 13, 8). Aveva torto, Pietro, a rifiutare il gesto di Cristo. Ma aveva ragione a sentirsene indegno. È importante, in questa giornata per eccellenza dell’amore, che noi sentiamo la grazia del sacerdozio come una sovrabbondanza di misericordia”.

Prima che ministri della misericordia verso i fratelli, tutti noi abbiamo ricevuto misericordia e la riceviamo di continuo, anzi la nostra stessa vocazione è frutto di misericordia.

Diceva il Papa: “Riscopriamo la nostra vocazione come «mistero di misericordia»” indicando tre fondamentali punti per i quali se siamo preti, lo siamo “per misericordia”.

Il primo punto: “Misericordia è l’assoluta gratuità con cui Dio ci ha scelti: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv 15, 16)”.

Il motto di Papa Francesco, “miserando atque eligendo” ci ricorda che non abbiamo nessun titolo e nessun merito per essere stati scelti da Gesù e dalla Chiesa ad un compito così importante, come l’essere ministri di Dio. La contemplazione di questa misericordia che ci ha scelti da una parte ci mantiene umili, dall’altra ci rende coscienti della grandezza che ci è stata donata. Il ministero sacro è così grande che se Dio dovesse donarlo solo a chi lo merita o è in grado di portalo a compimento, non lo darebbe a nessuno. Solo per misericordia Dio può chiamare al ministero qualcuno. E lo ha fatto con ognuno di noi.

Secondo punto indicato da San Giovanni Paolo II: “Misericordia è la condiscendenza con cui ci chiama ad operare come suoi rappresentanti, pur sapendoci peccatori”.

Il Signore non si è limitato a chiamarci, ma con una misericordia continua e più grande ogni giorno si serve di noi. Attraverso la nostra persona, che pieni di giusto timore gli offriamo, ogni giorno consacra, assolve, benedice, battezza, consola ed esorta. Siamo i segni vivi, seppur fragili della sua presenza attiva tra gli uomini. Come non essere conquistati ed incoraggiati da questa grande misericordia? Anche per noi si compie la Parola: “Chi accoglie voi accoglie me” (Mt 10,41).

Infine il terzo punto: “Misericordia è il perdono che Egli mai ci rifiuta, come non lo rifiutò a Pietro dopo il rinnegamento”. Il Signore sa bene che affidarsi ad uomini fragili e peccatori come siamo noi, per un compito così grande come è il ministero sacro, è possibile solo se da parte Sua ogni giorno ci viene offerto un perdono generoso e sempre disponibile. Contemplare con voi questo perdono sempre offerto e tanto spesso necessario non solo per i nostri peccati commessi, ma soprattutto per le tante omissioni in cui tutti cadiamo, ci rende piccoli e vergognosi. Davanti al Signore, che questa sera imiteremo nel gesto di lavare i piedi ai fratelli, domando per me e per voi un cuore umile e pieno di fervore, perchè magari possiamo sbagliare, ma per aver provato a vivere il vangelo.

Papa Francesco ci esorta: “Preferisco una Chiesa accidentata, ferita, sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze”.

Vi invito a rileggere questa lettera di San Giovanni Paolo II che si chiudeva in modo particolarmente suggestivo per noi evangelizzatori del terzo millennio: “L’evangelizzazione del terzo millennio deve fare i conti con l’urgenza di una presentazione viva, completa, esigente del messaggio evangelico. Il cristianesimo a cui guardare non può ridursi ad un mediocre impegno di onestà secondo criteri sociologici, ma deve essere un vero tendere alla santità.  Ma questo annuncio fedele, mai reticente, delle esigenze radicali della parola di Dio deve sempre accompagnarsi a una grande comprensione e delicatezza, ad imitazione dello stile di Gesù verso i peccatori”.

 

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