Carissimi, la prima Lettura di oggi ci ha ripetuto più volte: «Confidate nel Signore».
La festa del santo Patrono ci parla di una paternità amorevole, di una protezione di San Giuliano verso Macerata, su cui possiamo confidare. La stessa lettura però si chiudeva con un “guai”: «guai al cuore indolente e che non ha fede, perché non avrà protezione».
Cosa ci dice oggi questa Parola rivolta non solo alla Chiesa, ma a tutta la città di Macerata?
Mi prendo la responsabilità di dire parole anche dure, che sinceramente ritengo vere, senza pretendere che lo siano. Il vescovo di una città deve essere sincero, non pretende certo di essere infallibile. Parlo al vostro cuore ed alla vostra libera coscienza, che la fede cristiana rispetta sempre.
La prima tentazione di un cuore “indolente” che secondo la parola di Dio dovremmo evitare, mi sembra quella di pretendere da Dio la soluzione di tutti i nostri problemi. Questa è la visione di una fede “di comodo”, con Dio e i santi al nostro servizio, chiamati ad affrontare al nostro posto i problemi, rispetto alla genesi dei quali non siamo peraltro del tutto innocenti.
Possiamo e magari dobbiamo chiedere la fine di questa pandemia, ma ciò richiede da parte nostra di superare l’indolenza e la mancanza di fede.
Prima di tutto l’indolente davanti ad un problema non si chiede: «Cosa potrei e dovrei fare in prima persona?», «in cosa dovrei cambiare e quali responsabilità e anche rischi dovrei assumermi per il bene comune?». L’indolente invece cerca colpevoli e complotti, per scaricare tutta sugli altri ogni responsabilità. Pretende soluzioni che non lo costringano a cambiare abitudini, o a fare sacrifici ragionevoli per ottenere buoni risultati.
La Bibbia invece parla di Alleanza tra Dio e l’umanità, in cui ciascuno dei due fa il bene che può, per raggiungere il benessere, la pace, la salute.
La prima cosa da fare è cercare la verità delle cose. Non la verità più comoda per noi, o quella che ci prende alla pancia quando siamo spaventati. Quando eravamo piccoli avevamo i giornali e la televisione. Voci autorevoli perché per poter scrivere su un giornale nazionale ed ancor più per parlare in televisione, un giornalista faceva una lunga ed esigente gavetta. Per questo non si sarebbe mai giocato la reputazione e il futuro dicendo cose non verificate, non accertate con veri competenti e di cui perciò non era ragionevolmente certo. Oggi le cose sono cambiate.
Quando ero giovane e vidi una pornostar diventare deputata, mi preoccupai seriamente: non perché era porno, ma perché sarebbe stata certamente incompetente nel giudicare le cose complesse di cui si occupa un Parlamento. Purtroppo, di anno in anno, ho visto molto di peggio. I danni di questa pandemia hanno radici lontane e nessuno è del tutto innocente, perché una società che non pretende più studio, sacrificio e competenza per raggiungere posti di responsabilità, nel breve tempo è comoda per tanti, che poi magari si lagnano degli effetti negativi di questo modo di fare.
Oggi tanti parlano in Tv, lo sto facendo anche io adesso. Moltissimi scrivono su Internet quello che pensano, ma pochi pensano davvero a quello che scrivono. Pochi si prendono la responsabilità seria di valutare ogni parola che dicono. Molti cercano il successo veloce, creato dall’emozione o da chi la spara più grossa.
Papa Francesco dice che ogni Cristiano deve chiedere a Dio prima di tutto il dono del discernimento: quella sapienza che è dono dello Spirito santo che fa riconoscere la verità anche quando è scomoda, quando è impegnativa, quando ci chiede di fare scelte che costano fatica e rischio personale, ma portano al bene di tutti.
Usate più la testa e la coscienza e meno lo stomaco, quando leggete i post su internet o seguite l’ennesimo dibattito urlato in Tv!
La seconda ricetta contro l’indolenza è: vedere con verità cosa possiamo concretamente fare. I competenti, che a me sembrano più avveduti, dicono che non avremo la fine veloce di questa pandemia, ma il virus diventerà endemico per un tempo piuttosto lungo. Cioè sarà presente, avrà dei picchi in varie zone del Paese, alternerà periodi di tregua e riprese locali di virulenza. Quella che ci attende non è una guerra lampo, con armi miracolose che risolvono tutto e subito. Ci attende ancora una guerra di trincea.
Una guerra dove contano più il controllo dei nervi che la forza dei muscoli. Abbiamo delle armi: dai vaccini a una migliore conoscenza delle cure e della prevenzione. Sappiamo meglio come radunarci, lavorare, studiare senza correre gravi rischi. In una guerra di trincea la prudenza è più importante del coraggio, ma non deve diventare paura, altrimenti perderemo tutto. Dobbiamo riprendere a vivere, lavorare, studiare, ma in modo nuovo, più cosciente e responsabile verso noi stessi e verso gli altri.
In una guerra di trincea, la solidarietà e la collaborazione a lungo termine sono più importanti dei gesti isolati e dell’eroismo individuale. Non si può restare in una buca attendendo che altri lottino per noi.
La sfida di questo tempo è preziosa. Da ogni male Dio sa trarre un bene e questo tempo potrebbe produrre il bene di renderci più responsabili, più solidali, più maturi. Nel 2015, a 100 anni dalla Grande Guerra, il presidente Matterella ha detto: «I soldati italiani, in maggioranza contadini, provenienti da storie e regioni diverse, scoprirono per la prima volta, nel senso del dovere, nella silenziosa rassegnazione, nella condizione di precarietà, l’appartenenza a un unico destino di popolo e di nazione». L’Italia l’hanno costruita più le trincee del Carso, dove siciliani e milanesi combatterono e soffrirono a lungo assieme, che gli intrallazzi politici di Cavour o l’impresa fulminea dei mille di Garibaldi.
Nella logica dell’Alleanza biblica è giusto e buono avere fede e chiedere al Signore e a S.Giuliano la vittoria su questa pandemia, ma ognuno faccia la sua parte, come tanti stanno facendo da quasi due anni, con impegno e per il bene di tutti.
Se per noi la parola guerra è simbolica, tra di noi stanno giungendo da ieri delle famiglie per cui la guerra è il ricordo vivo di due o tre giorni fa. Da settimane: la Diocesi, il Comune, le Autorità locali civili e militari, la Caritas, la “Fondazione Diocesana Vaticano II” e l’Associazione “Centro di ascolto e di prima accoglienza” stanno lavorando assieme per dare una accoglienza responsabile, competente e di qualità ad alcune famiglie afgane in fuga da Kabul.
Mi sembra già una cosa molto buona che si lavori assieme, che ci si confronti e si cerchi il meglio per chiunque è in difficoltà: sia per chi arriva da lontano, che per chi vive già qui in situazioni precarie.
Accogliere questi perseguitati mentre si continua ad aiutare i nostri poveri e i nuovi poveri è un dovere umanitario. È una testimonianza all’Italia che anche noi Maceratesi sappiamo fare la nostra parte.
E – permettete che lo dica – è anche il modo giusto di onorare i 53 civili e militari italiani che, partiti in questi 20 anni per una missione di pace in aiuto al popolo afghano, sono caduti in tenendo fede all’impegno di bene che avevano preso.
Che San Giuliano vi benedica e protegga tutti.