Omelia nel Giubileo Diocesano degli Operatori di Giustizia

28-11-2025

Carissimi fratelli, in questi ultimi giorni dell’anno liturgico la Chiesa ci propone la lettura di brani che rivolgono lo sguardo ai momenti finali della storia umana, caratterizzati dall’incontro con Dio e dal tema del Giudizio universale.

È il caso della prima lettura, tratta dal libro di Daniele, un testo Profetico dal complesso linguaggio apocalittico, che cerca di comunicare attraverso immagini potenti il giudizio di Dio sul mondo e sulla storia. Dice Daniele che: la Corte divina siede in giudizio e vengono aperti i libri dove sono registrate le azioni positive e negative dell’umanità. Dio, in questa bella immagine, non si comporta come un despota, ma come un giudice, che segue una corretta procedura di valutazione dei fatti, verificando la documentazione specifica. Questo testo, con molti altri della Bibbia, testimonia la cultura giuridica dell’antico popolo di Dio, da cui assieme a quella codificata dal Diritto Romano, proviene la nostra cultura giuridica occidentale. Anche Dio, quando siede in giudizio, rispetta procedure, documentazione e diritto alla difesa.

Il profeta annuncia poi la venuta di un giudice umano o meglio “simile a un figlio di uomo” a cui verrà affidato da Dio il giudizio finale. In questa visione profetica i cristiani hanno riconosciuto l’annuncio che Gesù Cristo, figlio di Dio e figlio dell’uomo, sarà il giudice finale dell’umanità. Questo fatto ci riempie di speranza, questo giudice, è anche colui che per amore nostro ed animato da infinita misericordia è morto per noi sulla croce. Il giudice davanti al quale compariremo alla fine è lo stesso che dalla croce al ladrone pentito promise il paradiso.

Nel brano evangelico tratto dal capitolo 21 di Luca, si parla egualmente della fine dei tempi e del giudizio universale. L’immagine che San Luca usa per far comprendere la radicalità e universalità di questo giudizio è evocare tra i suoi lettori il ricordo recentissimo della distruzione di Gerusalemme, operata dall’esercito romano durante la guerra giudaica del 70 d.C. a cui assistettero molti della generazione che era già nata negli anni 30 al tempo della predicazione di Gesù. Per questo giustamente Gesù annuncia che questo primo giudizio si compirà entro la vita della generazione che lo ascolta.

Quella generazione vide scomparire cose che riteneva eterne, come il tempio di Gerusalemme e la civiltà giudaica in quasi tutta la Palestina di allora. San Luca ci fa riflettere così sul fatto che le realtà umane sono fragili e che la storia spesso comporta grandi cambiamenti. Qualcosa che verifichiamo anche noi in questo tempo che ci è dato di vivere e che Papa Francesco giustamente definiva non solo come un’epoca di cambiamento, ma come un vero cambio di epoca.

Ma la stessa narrazione evangelica riporta questa solenne dichiarazione di Gesù che abbiamo appena ascoltato: “il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”. È un messaggio che ci rassicura, pur nel vortice di tanti cambiamenti in atto, che potrebbero farci temere perché nulla sembra più stabile ed affidabile, la parola del Vangelo si presenta come un fondamento sicuro, qualcosa che non passa, su cui fondare la continuità tra la civiltà passata da cui veniamo ed una nuova civiltà che giunge. Una civiltà mondiale che speriamo sia creata dall’incontro e dal dialogo tra le culture e non dalla guerra, dallo scontro e dal tentativo di sopraffazione reciproca.

La cultura giuridica elaborata e perfezionata nel corso dei millenni dalla nostra civiltà occidentale, di cui siete studiosi e divulgatori, è stata un tentativo di fondare il diritto anche su quelle parole del Vangelo che il Signore ci assicura non passeranno. Portatori di questi valori che non mutano, potremo così contribuire a costruire una cultura mondiale sempre più fraterna, elaborata assieme con tanti popoli, eredi di culture spesso altrettanto millenarie e degne, perciò, di attenzione e rispetto.

Era questo il messaggio dell’amicizia tra le culture di cui fu grande testimone il nostro padre Matteo Ricci.

Credere che le parole del Vangelo non passeranno, significa confidare nel fatto che attraverso di esse i cuori puri ed onesti che cercano quella verità che non muta sono aiutati a raggiungerla. Senza mai dimenticare che la che la verità non è mai un possesso esclusivo di qualcuno, ma sempre un obiettivo da raggiungere e custodire, che in definitiva è un dono fatto da Dio.

Secondo una formula di preghiera famosa, tratta dalla liturgia delle ore, che si ispira ad una frase delle confessioni di Sant’Agostino e che ritengo possa essere la bella preghiera di ogni operatore di giustizia. Ognuno di voi, infatti, deve sempre essere un umile ma instancabile ricercatore di ciò che è giusto, buono e vero.

“Signore, a quanti cercano la verità, concedi la gioia di trovarla e il desiderio di cercarla ancora, dopo averla trovata”.

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