CAMMINO SINODALE IN PARROCCHIA E ATTIVITÀ DI ORATORIO Con S.Em.R. Card. Gianfranco Ghirlanda

Cammino sinodale in parrocchia e attività di Oratorio

1.   Rilevanza degli Oratori nella vita ecclesiale e sociale

Il 2 febbraio 2013 la CEI ha pubblicato una Nota pastorale Il laboratorio dei talenti sul valore e la missione degli Oratori nell’educazione alla vita buona del Vangelo[1].

La Nota insiste ripetutamente in tutta la sua estensione sull’importanza della finalità educativa degli Oratori parrocchiali, come offerta di una formazione, che viene così sintetizzata: “pieno sviluppo di tutte le dimensioni della persona, intellettive, affettive, relazionali e spirituali. In questa luce va considerata la convinta valorizzazione del gioco, della musica, del teatro, dello sport, della natura, del viaggio, della festa e, parimenti, la promozione della cultura, del volontariato, e della solidarietà. Forti di una consolidata tradizione, gli Oratori devono oggi affrontare con coraggio, per un verso, il ripensamento della trasmissione della fede alle nuove generazioni nel contesto di sfida della nuova evangelizzazione e, dall’altro, l’assunzione dei nuovi linguaggi giovanili, così come dei rapidi cambiamenti dischiusi dall’avvento delle nuove tecnologie informatiche” (n. 28).

Tale funzione educativa è riconosciuta anche dalle istituzioni civili(n. 27), attraverso protocolli d’intesa, che prevedono aiuti concreti di vario tipo, come nel caso del Protocollo d’Intesa, firmato rispettivamente il 15 e 16 dicembre 2022 tra la Regione Marche, nella persona del Presidente Mons. Nazzareno Marconi, e la Regione Ecclesiastica Marche, nella persona del Presidente Francesco Acquaroli (art. 2). Questo protocollo d’intesa definisce anche i progetti per i quali la Regione Marche concede alla Regione Ecclesiastica Marche contributi di carattere economico (art. 4) e prevede la possibilità da parte di quest’ultima di ricevere in comodato l’utilizzo di beni mobili e immobili di proprietà della regione, degli Enti locali e sanitari (art. 5)

Altro punto che viene più volte ripreso nella Nota della CEI è quello dell’identità religiosa che l’Oratorio deve mantenere, anche se dev’essere aperto all’accoglienza di giovani di altre culture e religioni (nn. 11; 13; 14; 16; 25), per cui, sebbene il Protocollo d’Intesa di cui sopra, comprensibilmente, nella descrizione delle funzioni sociali ed educative degli Oratori, non menzioni la trasmissione della fede, questa non può essere minimamente attenuata, perché non può che essere implicitamente riconosciuta.

2.   Cosa il Documento finale della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi intende per sinodalità

Mi propongo di condurre una lettura della natura e finalità degli Oratori alla luce della natura e dell’azione sinodale della Chiesa in tutte le sue espressioni e della Parrocchia in particolare.

Si rende così necessaria innanzitutto una trattazione, anche se molto sintetica, di che cosa intende il Documento Finale (= Documento), approvato dalla XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi alla fine della Seconda Sessione, il 26 ottobre 2024.

Come si sa il Documento è il risultato del processo sinodale, iniziato con l’apertura solenne il 9-10 ottobre 2021 a Roma e il 17 dello stesso mese nelle Chiese particolari e concluso il 26 ottobre 2024.

Non intendendo pubblicare un’esortazione apostolica, il Papa, nel Saluto finale del 26 ottobre 2024 al Sinodo, ha disposto che il Documento sia reso pubblico per il fatto che contiene “indicazioni molto concrete che possono essere di guida per la missione delle Chiese”[2]. Inoltre, sotto l’aspetto dottrinale il Documento partecipa al magistero ordinario del Papa, in quanto da lui approvato espressamente a norma dell’art. 18 §1§1 della Cost. ap. Episcopalis communio (= EC), del 15 settembre 2018[3].

Il n. 30 del Documento molto opportunamente precisa che la sinodalità designa tre aspetti della vita della Chiesa.

2.1            Aspetto ontologico della Sinodalità

Il primo aspetto delineato dal n. 30a è quello più generale che riguarda la natura sinodale della Chiesa, indicando il camminare insieme e il riunirsi in assemblea del Popolo di Dio, in relazione alla missione di annunciare il Vangelo. Tale natura della Chiesa si esprime nel suo modo ordinario di vivere e operare, cioè nell’ascolto comunitario della Parola di Dio, la celebrazione dell’Eucaristia, la fraternità della comunione, la corresponsabilità e la partecipazione di tutti i battezzati alla sua vita e missione, pur nella distinzione dei ministeri e dei ruoli.

Possiamo dire che questo primo aspetto riguarda la dimensione ontologica della sinodalità, che è «dimensione costitutiva» della Chiesa (EC 6), in quanto, come richiama il n. 21 del Documento, si basa sul battesimo, che, incorporando in Cristo, costituisce Popolo di Dio e rende partecipi, ognuno secondo la sua condizione, della missione che Cristo ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo. Ciò costituisce una vera uguaglianza tra tutti i battezzati, basata sulla pari dignità di figli di Dio e di membra del Corpo di Cristo (cann. 204 §1; 208; LG cap. II; 32). Su questa base si può parlare, come nel n. 36 del Documento, di «corresponsabilità differenziata di tutti i Battezzati, uomini e donne».

La sinodalità, allora, tocca l’agire della Chiesa in quanto tocca il suo essere, perché tocca il suo costituirsi come comunione di fedeli e di Chiese particolari a immagine della Trinità e come assemblea che celebra il mistero della salvezza in una prospettiva escatologica.

Viene di seguito, nel n. 22, richiamato il sensus fidei, che tutti i fedeli hanno in virtù del dono dello Spirito ricevuto nel battesimo, per cui il Popolo di Dio non può sbagliare nel credere, quando la totalità dei battezzati esprime il suo universale consenso in materia di fede e di morale. Sulla necessità di ascoltare il sensus fidei del Popolo di Dio si basa la consultazione di esso a tutti i livelli prima di prendere una decisione importante, espressione di una visione sinodale della Chiesa in quanto tale e della modalità di esercizio dell’autorità. Tuttavia, nello stesso numero si precisa che il sensus fidei non si confonde con l’opinione pubblica, perché «è sempre congiunto al discernimento dei pastori ai diversi livelli della vita ecclesiale». Letto alla luce Lumen gentium 12a ciò significa che i fedeli, nel loro insieme, come popolo di Dio, non come singoli, sotto la guida del magistero non possono sbagliare; per questo sotto la guida dei vescovi aderiscono, indefettibilmente alla fede che è stata trasmessa una volta per sempre ai santi ed è tale fede, che penetrano più profondamente e più pienamente l’applicano alla vita. Inoltre, secondo Dei verbum 10, anche se il deposito della fede è affidato a tutta la Chiesa, la funzione d’interpretare autenticamente la Parola di Dio scritta e trasmessa, cioè il deposito della fede, è propria del Magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo. Quindi, per discernere quali fedeli debbono essere consultati perché esprimano il sensus fidei e siano infallibili in credendo, è fondamentale la loro adesione al Magistero, cioè il loro legame con il Papa e i Vescovi[4].

Comunque la funzione specifica, che a tutti i livelli, sono chiamati a svolgere i pastori nella Chiesa non deve far dimenticare che essi, nello stesso tempo, sono all’interno di tutto il Popolo di Dio, al quale è stato affidato il deposito della fede. Ed è su questo che si basa la circolarità propria della sinodalità.

Il n. 5 della Cost. ap. Episcopalis communio (= EC), 15 settembre 2018[5], dice che il Vescovo è autentico dottore e maestro, quando insegna in materia di fede e di morale e i fedeli debbono aderire con religioso ossequio a tale suo magistero autentico (can. 753), e nello stesso tempo discepolo, perché la vita della Chiesa e il suo vivere nella Chiesa sono le condizioni per l’esercizio della sua funzione d’insegnare. Quindi è discepolo quando come ogni altro battezzato «si pone in ascolto della voce di Cristo che parla attraverso l’intero Popolo di Dio, rendendolo “infallibile in credendo”»[6]. Per questo non si può fare una separazione rigida tra Ecclesia docens ed Ecclesia discens[7].

Questa visione delle cose fondamentalmente la si ritrova già in Pastores gregis 10, dove richiamato il detto di S. Agostino: «Per voi sono Vescovo, con voi sono cristiano»[8], si afferma che il Vescovo «diventa “padre” proprio perché pienamente “figlio” della Chiesa». Per questo, nell’esercizio del munus gubernandi e del munus docendi, si pone la necessità di una circolarità tra il Vescovo e i fedeli (PG 44).

Evidentemente, ciò che è detto del Vescovo, vale anche per il Parroco nel suo rapporto con i fedeli che formano la comunità parrocchiale affidatagli.

La sinodalità, allora, secondo i nn. 43-46 del Documento si traduce in una spiritualità, cioè in una «disposizione spirituale» che, «riconoscendo il primato della grazia», permea la vita quotidiana di ogni battezzato, qualsiasi sia la sua vocazione, i carismi che ha ricevuto e le funzioni o ministeri che svolge, quindi la sua missione. Si traduce in «conversazione nello Spirito», che, in una conversione interiore relazionale (n. 50), si attua nell’accoglienza e nell’ascolto.

2.2            Strutture e processi ecclesiali sinodali

La sinodalità intesa nella sua dimensione ontologica, secondo il n. 30b, si esprime concretamente a livello istituzionale locale, particolare, regionale, continentale e universale, in strutture e processi ecclesiali, necessari per l’attuazione del discernimento autorevole che la Chiesa è chiamata a fare per individuare, in ascolto dello Spirito, la volontà di Dio.

Le strutture e processi ecclesiali sono strumenti di discernimento. Del discernimento, che nel contesto dell’attuazione della sinodalità è detto «ecclesiale», si tratta nei nn. 81-94.

Il n. 82 menziona gli atteggiamenti interiori richiesti in generale per fare un vero discernimento nello Spirito: «libertà interiore, umiltà, preghiera, fiducia reciproca, apertura alla novità e abbandono alla volontà di Dio». Se poi si tratta di discernimento in comune o ecclesiale, si dev’essere coscienti che non si deve far prevalere il proprio punto di vista personale o di gruppo e che esso non si risolve nella somma dei pareri espressi, ma nell’ascolto reciproco, nella «conversazione nello Spirito», in quanto si cerca un consenso come presupposto per trovare la volontà di Dio. Punti di riferimento in qualsiasi discernimento spirituale, come indicano i nn. 83 e 85, sono la Sacra Scrittura, la Tradizione vivente della Chiesa, il Magistero, il sensus fidei, la storia dell’umanità e della Chiesa, la coscienza personale di ognuno dei partecipanti al discernimento, il contesto in cui avviene quest’ultimo.

Il discernimento presuppone la fede, perché ciò che si cerca è la volontà di Dio, non ciò che piace o sembra più conveniente. Per questo il discernimento ha bisogno di spazi e tempi di riflessione personale, di silenzio e di preghiera, affinché ciascuno possa cogliere la risonanza interna delle cose ascoltate, ciò che suscitano nel proprio cuore, e valutare se ciò che muove internamente è lo Spirito di Dio o lo spirito del male, che alimenta il nostro egocentrismo[9].

Il dialogo, come «conversazione nello Spirito», è reso possibile da un atteggiamento di ascolto nel distacco dalle proprie idee preconcette e dall’attaccamento a se stessi[10].

Il discernimento è volto all’esercizio della propria libertà nella decisione che si prende, assumendone la responsabilità, quindi accettando il rischio di sbagliare, perché ogni scelta va fatta sulla base di una certezza morale, che si ha quando, da tutti gli elementi e le circostanze considerate, non ci sono dubbi ragionevoli circa la scelta fatta, anche se non si può escludere assolutamente il contrario[11]. Tuttavia, trattandosi di discernimento spirituale non si può attuare che nella fiducia nell’intervento dello Spirito, che guida nella ricerca della volontà di Dio.

Valutati i dati raccolti, alla luce dei criteri offerti dal Vangelo e delle mozioni interiori, si ipotizzano delle soluzioni o delle proposte possibili, sulla base del consenso raggiunto tra i membri del gruppo, sottoponendo esse stesse ad analisi alla luce del Vangelo e delle mozioni interiori (n. 84e.f).

Il processo di discernimento è abbastanza complesso anche se portato avanti da una sola persona, ma quando coinvolge più persone, come, per es., un consiglio pastorale parrocchiale, lo è ancora di più, perché molte volte non tutte le persone che formano un gruppo che deve discernere sono allo stesso livello spirituale di disponibilità al distacco da se stessi.

2.3            Eventi sinodali

Il n. 30c enuncia il terzo aspetto della sinodalità, quello degli eventi sinodali, indetti dalla competente autorità per discernere su particolari questioni e per l’assunzione di decisioni e orientamenti volti all’adempimento della missione evangelizzatrice della Chiesa. In essi sono coinvolti in modo diverso, a livello locale o regionale, i membri del Popolo di Dio di tutte le categorie, sotto la presidenza del Vescovo in comunione con tutti gli altri Vescovi e in comunione gerarchica con il Vescovo di Roma, o sotto la presidenza di quest’ultimo, a livello universale.

Questo è l’aspetto operativo puntuale delle strutture ecclesiali secondo i processi particolari determinati dal Diritto Canonico.

La cosa viene approfondita nei nn. 87-94 del Documento. Si richiama innanzitutto che è da favorire la più ampia partecipazione possibile delle varie categorie dei membri del Popolo di Dio nei processi decisionali, in quanto tale Popolo è un soggetto comunionale formato da molte membra diverse (nn. 87 e 88). Per questo, si sollecita la promozione della partecipazione sulla base di una “corresponsabilità differenziata” (n. 89). La corresponsabilità riguardo all’edificazione del Corpo di Cristo e alla missione affidata da Dio alla Chiesa è data dall’uguaglianza nella dignità e nell’agire da parte di tutti i fedeli in virtù del battesimo (cann. 204 §1; 208). Su di essa si basa la partecipazione nei processi decisionali di tutte le categorie di fedeli, attraverso i pareri che esprimono. È questa la fase che «informa e sostiene la successiva presa di decisione, che spetta all’autorità competente» (n. 90; can. 127).

Comunque il n. 91 ribadisce che nel processo sinodale «la competenza decisionale del Vescovo, del Collegio Episcopale e del Vescovo di Roma è inalienabile in quanto radicata nella struttura gerarchica della Chiesa stabilita da Cristo», per cui è «inadeguata la contrapposizione tra consultazione e deliberazione: nella Chiesa la deliberazione avviene con l’aiuto di tutti, mai senza l’autorità pastorale che decide in virtù del suo ufficio». Evidentemente è da comprendere anche la competenza decisionale del Parroco.

La sinodalità non contraddice, tanto meno abolisce, la dimensione gerarchica, ma fa sì che questa meglio esprima il suo carattere di servizio. Ciò è detto chiaramente da Papa Francesco nel Discorso del 17 ottobre 2015[12].

Sia per il fatto che l’autentica sinodalità è opera dello Spirito Santo sia per la riaffermazione del principio gerarchico, l’azione sinodale, come più volte precisa il Papa, non può assolutamente trovare un suo analogato nei parlamenti delle democrazie moderne[13]. Questa chiarificazione di Papa Francesco è di fondamentale importanza, perché è contro la natura della Chiesa considerare una cosa decisa sulla base semplicemente della maggioranza dei voti, nella contrapposizione tra fazioni. Se così avvenisse di fatto si sancirebbe una spaccatura nella Chiesa[14].

Come espressamente affermato nel n. 93c, una volta che l’autorità ha preso la decisione, nel rispetto del processo di consultazione ed esprimendo le motivazioni di essa, «tutti, in ragione del vincolo di comunione che unisce i Battezzati, sono tenuti a rispettarla e metterla in atto, anche quando non corrisponde al proprio punto di vista», essendo, comunque, possibile «fare appello all’autorità superiore» a norma del diritto, cioè al Vescovo se si è livello di parrocchia.

Il n. 93a.b fa anche riferimento al fatto che coloro che sono consultati debbono ricevere le informazioni necessarie per poter esprimere il proprio parere riguardo all’oggetto della consultazione o della deliberazione, definito dell’autorità, ma debbono rispettarne la confidenzialità.

Il Documento finale fa riferimento in modo dettagliato agli eventi sinodali ai vari livelli della vita ecclesiale, ma a noi interessano quelli a livello particolare e locale, menzionati nel n. 103. Per quello che riguarda il Consiglio pastorale parrocchiale, come per quello diocesano, ne è proposta l’obbligatorietà, e, inoltre, per il Consiglio pastorale diocesano si auspica la facoltà di proporre temi da inserire nell’ordine del giorno come previsto per il Consiglio presbiterale (nn. 105; 105). Il Documento menziona anche il Consiglio parrocchiale per gli affari economici.

3.   Oratori e cammino sinodale della Parrocchia e nell’Oratorio

Il Vaticano II sottolinea fortemente l’elemento personale della parrocchia, considerandola «coetus fidelium» (SC 42), «localis fidelium congregatio» (LG 26a; 28b; PO 5a), «populus novus a Deo vocatus» (LG 26a), «communitas fidelium» (PO 6d; LG 28d; AA 30c). Questo elemento personale dei fedeli è comune con altri gruppi o comunità di fedeli, che non si possono chiamare parrocchie, quindi secondo Sacrosanctum Concilium 42a tra essi sono preminenti le parrocchie, localmente organizzate sotto l’autorità di un pastore che fa le veci del vescovo. Dal can. 515 §1 la parrocchia è definita: “una determinata comunità di fedeli (certa communitas christifidelium) che viene costituita stabilmente nell’ambito di una Chiesa particolare, la cui cura pastorale è affidata, sotto l’autorità del Vescovo diocesano, ad un parroco quale suo proprio pastore”. Quindi viene affermato il principio base che unifica nella pari dignità fondamentale tutti i fedeli, il battesimo in virtù del quale si forma la comunità dei fedeli, la quale, però, è articolata gerarchicamente nella persona del parroco, che rende presente il Vescovo, quindi tutta la Chiesa. Come si vede troviamo qui due aspetti fondamentali della sinodalità, che abbiamo tracciato parlando della sua dimensione ontologica: l’uguaglianza di tutti i fedeli nella pari dignità in virtù del battesimo e la differenziazione determinata dal ministero ordinato e dall’ufficio di Parroco.

Ciò si concretizza nel fatto che il Parroco non svolge da solo le funzioni di insegnare, santificare e governare, ma con la collaborazione degli altri presbiteri presenti nella parrocchia, specialmente del vicario, e dei diaconi nonché con l’apporto dei fedeli laici, uomini e donne (cann. 519; 545). Tutti si debbono sentire, anche se in modo differente, corresponsabili del bene della comunità parrocchiale dando innanzitutto la propria testimonianza di fede nella vita quotidiana, quindi collaborando nella pastorale parrocchiale, ciascuno secondo la propria vocazione e incarichi, e offrendo la propria competenza negli organi consultivi o fuori di essi. È questo, possiamo dire, il principio sinodale fondamentale, che trova applicazione nel Consiglio pastorale parrocchiale e nel Consiglio parrocchiale per gli affari economici, che sono i due organismi nei quali i fedeli che li compongono possono meglio esercitare il loro diritto/dovere di manifestare al parroco le proprie necessità, specialmente quelle spirituali e i propri desideri, quindi di manifestargli il proprio pensiero riguardo al bene della parrocchia e della diocesi (can. 212).

La Nota della CEI considera l’Oratorio una comunità di formazione umana e cristiana volta alla realizzazione di una sintesi armonica tra fede e vita da parte dei giovani, all’interno della più ampia comunità parrocchiale, tenendo anche conto delle unità pastorali che si vanno sviluppando (Introduzione; nn. 7;8). L’Oratorio non può essere considerato una realtà a sé stante, ma è un’espressine particolarmente qualificata della pastorale parrocchiale giovanile, per cui il suo progetto formativo deve realizzarsi in raccordo con tutte le realtà ecclesiali, gruppi, associazioni e movimenti ecclesiali e accogliere il loro contributo nell’attività dell’Oratorio, superando la tentazione della autoreferenzialità (n. 12). La formazione dei giovani è cura di tutta la comunità parrocchiale e diocesana, per cui nel Consiglio pastorale parrocchiale dev’essere rappresentata la realtà dell’Oratorio parrocchiale, e nel Consiglio pastorale diocesano, anch’esso auspicato come obbligatorio da parte del Documento finale dell’ultimo Sinodo dei Vescovi, debbono essere rappresentati gli Oratori presenti nella diocesi (n.7).

Il progetto formativo dell’Oratorio di per sé non si può porre come alternativo o sostitutivo della missione formativa della famiglia, per cui in esso debbono essere implicate le famiglie, cioè creare quella che nel n. 9 è chiamata “alleanza tra le famiglie e l‘Oratorio”, in modo che esse entrino nel processo di delineazione e di attuazione del progetto formativo. Talvolta l’Oratorio dovrà sostituirsi alla famiglia per situazioni di particolare carenza di questa, situazioni che attualmente purtroppo si verificano sempre più frequentemente a causa della sua dissoluzione (n. 19). Nel limite del possibile, un’alleanza formativa dovrebbe essere costituita anche con la scuola e associazioni sportive (n. 19)

La comunità formativa dell’Oratorio non va vista come costituita solo dalla équipe formativa, che comprende i sacerdoti, gli educatori e gli animatori, i genitori, i nonni e altre figure specifiche, ma anche dai giovani che formano l’Oratorio, per il fatto stesso che la finalità dello stesso progetto educativo è quella di condurre i giovani a non considerarsi come “utenti” della formazione, bensì, come “protagonisti della loro crescita”, a raggiungere una maturazione che li renda atti ad esercitare il loro “protagonismo”, inteso positivamente come corresponsabilità, riguardo alla loro stessa formazione (Introduzione; nn. 8; 23). Si tratta, infatti, di un “protagonismo sano e virtuoso”, che, in contrasto con la tendenza all’esibizionismo e al narcisismo, che generano l’individualismo, come compensazione delle proprie fragilità, educa alla partecipazione e all’assunzione di responsabilità in un agire comunitario. L’ispirazione del progetto formativo è quello del graduale e progressivo coinvolgimento di tutti, per cui la scoperta dei propri talenti deve portare a metterli a frutto per tutti, restituendo nella gratitudine quello che si è ricevuto (n. 18). Come attuazione dello spirito sinodale, tutti debbono “camminare insieme” e operare in sinergia (nn. 19; 22; 23)

Il che non significa negare che nell’elaborazione e l’attuazione del progetto educativo l’équipe formativa abbia una responsabilità specifica. La Nota della CEI al n. 22 parla di “ministerialità educativa” capace di promuovere i carismi e valorizzare i talenti e far fruttificare i doni dello Spirito, per cui il compito di educatore dev’essere percepito come una vocazione da sottoporre a discernimento e da alimentare con un accompagnamento formativo

Come dice il n. 17 della Nota, “al centro del progetto educativo dell’Oratorio c’è la crescita e la progressiva maturazione di ogni singolo ragazzo o giovane secondo la prospettiva dell’‘autorealizzazione’”. Il metodo proprio dell’Oratorio, infatti, come indica il n. 20, è quello dell’animazione, del coinvolgimento diretto, trattandosi di un metodo attivo che si caratterizza per il protagonismo del soggetto, sulla base della sua esperienza. Infatti, è il giovane che frequenta i “linguaggi” propri del metodo dell’Oratorio: il gioco libero e creativo, lo sport spontaneo e organizzato, la musica, la narrativa, il cinema e altre dinamiche comunicative di cui i giovani fanno uso, come quelle digitali (cf. n. 26). Il proprio del metodo Oratoriale rispetto ad altre realtà educative è la sua specifica identità cristiana, per cui i principi educativi s’ispirano al Vangelo e alla tradizione cristiane, alla luce del Magistero della Chiesa (n. 11). È in base al modo in cui i linguaggi di cui sopra vengono usati dai giovani che si caratterizza la qualità e la forza educativa del progetto dell’Oratorio, per cui in questo senso i giovani sono formatori di se stessi, nello stesso uso dei linguaggi, e sono attrazione per altri giovani, assumendo con il loro stesso agire una funzione formativa riguardo ai nuovi che vengono accolti. È questo l’aspetto sinodale di base, quello che ognuno si senta responsabile di se stesso e degli altri nella realtà di riferimento in cui vive, nel nostro caso l’Oratorio parrocchiale e attraverso di esso la stessa parrocchia.

Tuttavia, chiarifica il n. 23 della Nota, all’interno di un Oratorio “è insostituibile la presenza del sacerdote”, anche se spesso, per la carenza di vocazioni, non la si possa garantire a tempo pieno. In questo caso comunque ci dovrà essere una figura sacerdotale di riferimento, specie per gli aspetti spirituali e formativi che non per quelli organizzativi, per favorire un accompagnamento umano e spirituale ai ragazzi e agli educatori. Alla presenza sacerdotale si aggiunge quella dei consacrati e delle consacrate, i quali con la professione dei consigli evangelici, testimoniano un amore libero e disinteressato nel servizio di Dio e degli altri, e quella degli stessi giovani adulti, come frutto della maturazione acquisita nell’Oratorio (cf. Introduzione).  In passato i ruoli di responsabilità venivano svolti per lo più da sacerdoti o religiosi/religiose, oggi, invece, sempre più spesso tale compito viene affidato a dei laici preparati. Ciò non dev’essere, diciamo, accettato per la mancanza di vocazioni alla vita sacerdotale o religiosa, ma dev’essere manifestazione del valore dal laicato, che, consapevole della sua vocazione nella Chiesa, è capace di assumete le responsabilità che gli sono più consone. Certamente la responsabilità della formazione dei giovani è una di esse. Tuttavia, chiunque, su mandato ecclesiale, assuma la responsabilità dell’Oratorio, deve farlo “coordinando le varie attività, operando nell’ottica evangelica e vocazionale, garantendo la cura delle relazioni interpersonali, lo stile dell’accoglienza e la qualità educativa dell’ambiente. … è chiamato a favorire un positivo e armonico intervento di tutte le altre figure educative: deve possedere pertanto buone doti di coordinamento e una spiccata attitudine al lavoro comune e condiviso”.

La condivisione si esprime nell’implicare a vari livelli tutti gli agenti nell’Oratorio, non solo coloro che hanno ricevuto un incarico di formazione e di conduzione nell’Oratorio, ma anche gli stessi giovani nel loro cammino di maturazione che li fa protagonisti dello stesso progetto formativo (Introduzione). Come si può vedere ciò corrisponde allo spirito sinodale che abbiamo esposto sopra.

Secondo il n.12 della Nota ciò deve trovare concreta espressione nella presenza dei responsabili degli Oratori negli organismi di coordinamento e di consulta del Servizio per la pastorale giovanile e nel Consiglio pastorale diocesano e parrocchiale. Previo al Consiglio pastorale parrocchiale, è da considerare il Consiglio dell’Oratorio, detto “Oratoriano” nell’accenno che ne fa il n. 17. Sarebbe auspicabile l’istituzione di tale Consiglio in ogni parrocchia in cui vi sia un Oratorio, come attuazione dello spirito sinodale. In esso dovrebbero partecipare d’ufficio il sacerdote o sacerdoti impegnati nell’Oratorio, i responsabili della formazione e dell’organizzazione dell’Oratorio e una rappresentanza dei giovani eletti da loro stessi. In tale Consiglio dovrebbe essere condotta una valutazione dell’attività e del funzionamento dell’Oratorio come realtà educativa, quindi innanzitutto del progetto educativo e della sua attuazione, considerato in una prospettiva missionaria “quale risposta al secolarismo che determina sempre più l’abbandono della fede e della vita ecclesiale da parte delle nuove generazioni”, quindi come “proposta  qualificata della comunità cristiana per rigenerare se stessa e rispondere in maniera appropriata al relativismo pervasivo che è ben riscontrabile anche nei processi educativi» (Introduzione; nn. 22; 28). In relazione a questo punto di vista, nel Consiglio dovrebbero essere discussi i problemi concreti che emergono da tale valutazione e formulate delle proposte concrete. Tale Consiglio dovrebbe riunirsi almeno due volte l’anno, comunque sempre in preparazione al Consiglio pastorale parrocchiale, nel quale sarebbero presentati l’attività dell’Oratorio e i problemi sorti, che per la loro soluzione ci sarebbe bisogno del parere del Consiglio pastorale parrocchiale e la decisione finale del Parroco.

La Consulta del Servizio per la pastorale giovanile dovrebbe riunire una rappresentanza di tutti gli Oratori che si trovano nella Diocesi per trattare i problemi comuni e per esprimere pareri e suggerimenti al Capo del Servizio, il quale dovrebbe essere membro del Consiglio pastorale diocesano.

Tutti i Consigli sopra nominati dovrebbero comunque funzionare come luogo di valutazione e di trasparenza, dimensioni che sono particolarmente raccomandate dal Documento finale del Sinodo (nn. 95-102).

Essi sono tutti organi consultivi, nei quali i membri sono chiamati a discernere circa i mezzi di evangelizzazione da utilizzare ai diversi livelli in attuazione della missione della Chiesa in generale e dei diversi organismi, tra i quali l’Oratorio, tenendo presente le sfide attuali. Riguardo all’Oratorio il discernimento riguarda, ad intra, la strutturazione e l’attuazione del metodo educativo per accompagnare i giovani nel modo più personalizzato possibile nella maturazione nella responsabilità personale, quindi verso un sano “protagonismo”; ad extra, riguarda il modo di come attirare e ricevere giovani, anche lontani dalla fede o di altre religioni e culture, oppure che si trovano in grave degrado sociale e culturale, pur mantenendo chiaramente la propria identità cristiana (nn. 13; 14; 16; 25).

La consultazione nella Chiesa va tenuta nel debito conto. Nel processo di formazione della decisione, se in un atteggiamento autenticamente sinodale si ascolta con libertà interiore lo Spirito, si potrà tendere ad un ampio consenso, se non ad un’unanimità, dell’organismo consultato. Infatti, lo Spirito unisce, chi divide è il Maligno. Qui è da richiamare l’importanza di quanto affermato nei cann. 127 §2,2°, che il superiore, sebbene non sia tenuto a seguire il parere ricevuto, tuttavia è invitato a non distaccarsi da esso, specialmente se concorde, se non per una ragione prevalente. Il parere espresso da un Consiglio dev’essere preso sul serio, perché lo Spirito Santo non parla solo nel Superiore, ma anche nei membri del Consiglio consultato. Viene interpellata la coscienza, nel caso che stiamo trattando, del responsabile dell’Oratorio nel Consiglio Oratoriale o del Parroco nel Consiglio pastorale, che debbono valutare la cosa davanti a Dio, cioè nella preghiera. Sarebbe opportuno prevedere che in tale caso limite di disaccordo la questione sia sottoposta al superiore gerarchico: il parroco rispetto al responsabile dell’Oratorio; il Vescovo rispetto al Parroco. Il superiore gerarchico con la sua decisione a pro dell’una o dell’altra posizione sarebbe una garanzia per l’una e l’altra parte implicata.

Deve trovare qui applicazione quanto più sopra è stato detto in modo generale circa le strutture e i processi sinodali. Nella vita dell’Oratorio il processo sinodale dovrebbe essere facilitato dal fatto stesso che il metodo Oratoriale dovrebbe educare alla gratuità della relazione, dell’accoglienza, dell’apertura all’altro, dell’ascolto dell’altro, che conduce e nello stesso tempo si fonda sull’apertura all’Altro, Dio (Nota CEI, nn. 5; 15; 16).

4.   Conclusione

Spero che il confronto che ho cercato di operare tra il Documento finale del Sinodo e la Nota pastorale della CEI del 2 febbraio del 2013, abbia aiutato ad una lettura più approfondita della Nota stessa che rimane fondamentalmente ancora valida, anche se da adattare, per natura sua, alle varie realtà locali in cui si trovano i diversi Oratori e ai mutamenti che nella realtà ecclesiale sono avvenuti negli ultimi 11 anni.

Penso che abbia anche aiutato a rendersi conto che la sinodalità è veramente qualcosa di intrinseco alla realtà e alla vita della Chiesa, in quanto gli elementi che adesso espressamente vengono qualificati come “sinodali” già si ritrovano nel documento della CEI del 2013 e nella vita degli Oratori.

Mi auguro anche che l’analisi presentata aiuti ad applicare correttamente i termini “sinodale” e “sinodalità”, rettamente compresi sia nel senso ecclesiologico più generale sia nell’applicazione a processi ben specifici in organismi appositamente predisposti dal diritto della Chiesa. Tale retta comprensione sarà di aiuto nella ricerca dell’equilibrio, necessario per la Chiesa, tra la responsabilità personale di un Superiore, o comunque di chi nella Chiesa è chiamato a svolgere un ruolo di guida, e la partecipazione di chi, sulla base di una corresponsabilità generale derivata dal battesimo, è chiamato ad entrare nella dinamica della decisione di chi la deve prendere. L’uso indiscriminato di tali termini, con l’applicazione alle realtà più disparate, può condurre ad una banalizzazione di ciò che vogliono indicare e quindi a perdere una prospettiva che può senza dubbio essere molto ricca per la vita della Chiesa.

 

 

Gianfranco Card. Ghirlanda S.J.

                                                               Pontificia Università Gregoriana

                                                                     Facoltà di Diritto Canonico

 

[1]Cf.chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://www.chiesacattolica.it/wpcontent/uploads/sites/31/2017/02/Nota-Oratori-2013.pdf

[2] Cf. https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2024/october/documents/20241026-sinodo-vescovi.html.

[3] Cf. Francesco, «Nota di accompagnamento del Documento finale della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi» (= Nota),26 ottobe 2024, in L’Osservatore Romano, 25 nov. 2024, p. 12; Cost. ap. Episcopalis commiunio, 15 settembre 2018, in AAS 110 (2018) 1359-1378.

[4] Cf. R.Repole, «“Verso una teologia della sinodalità”. Alcune considerazioni di fondo in relazione al secondo capitolo del documento», in La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa. Commento a più voci al Documento della Commissione teologica internazionale (a cura di P.Coda- R.Repole), Bologna 2019, 57.

[5] Cf. AAS 110 (2018) 1359-1378.

[6] Cf. Francesco, Es. ap. Evangelii gaudium, 24 nov. 2013, n.119, in AAS 105 (2013) 1019-1137; Disc. Concl. III Ass.Gen.Str. Sinodo dei Vescovi, 18 ott. 2014, in Oss.Rom. 20-21 ott. 2014, 5.

[7] Cf. Francesco, Disc. Commem. 50° anniv. Istituz. Sinodo dei Vescovi, 17 ott. 2015, in AAS 17 (2015) 1140.

[8] Cf. AAS 96 (2004) 825-927. Il testo più completo di Sant’Agostino è: «Se mi atterrisce l’essere per voi, mi consola l’essere con voi. Perché per voi sono Vescovo, con voi sono cristiano. Quello è il nome di una carica, questo di una grazia; quello è il nome di un pericolo, questo della salvezza».

[9] Cf. Sant’Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, Cinisello Balsamo 1995, nn.313-336.

[10] Cf. Sant’Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, nn. 23; 98; 146-149-157165-167; 169; 175-189.

  [11] Cf. Pio XII, Disc. S. Romana Rota, 1 ott. 1942, in AAS 34 (1942) 338-343; Giovanni Paolo II, Disc. S. Romana Rota, 4 febbr. 1980, in AAS 72 (1980) 172-178. Cf. M. Costa, Direzione spirituale e discernimento, Roma 2009, 47-52.

[12] Cf. anche Francesco, discorso alla chiusura III Assemblea Generale Sinodo Straordinario dei Vescovi, 18 ottobre 2014, AAS 106 (2014) 838-839; Id., Discorso alla Conferenza Episcopale Italiana, 20 magg. 2019, AAS 111 (2019) 877-878.

[13] Cf. Francesco, Udienza Gen. 10 dic. 2014, in URL: https://www.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2014/documents/papa-francesco_20141210_udienza-generale.html (22/2/2024); Disc. ai vescovi del Sinodo della Chiesa greco-cattolica ucraina, 2 sett. 2019, in Oss. Rom., 2 sett. 2019, 6; Disc. all’ apertura della XIV Assemblea Generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 5 ott. 2015, in AAS 107 (2015) 1137-1138; Disc. ai fedeli della Diocesi di Roma, 18 sett. 2021, in Oss. Rom., 18 sett. 2021, 2-4; Disc. all’apertura della XVI Assemblea Generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi., 4 ott. 2023, in Oss. Rom., 5 oct. 2023, 3; Omelia della Messa di apertura alla XVI Assemblea Generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 4 ott. 2023, in Oss. Rom., 4 ott. 2023 2-3).

[14] Cf. Francesco, Es. Ap. Gaudete et Exsultate, 19 mar. 2018, nn. 168-173, in AAS 110 (2018)1111-1161; Es. ap. post-sinodale Christus vivit, 25 mar. 2019, n. 280-282, in AAS 111 (2019) 391-476. Del discernimento spirituale Papa Francesco parla nel Disc. all’apertura della XV Assemblea Generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 3 ottobre 2018, (cf. Oss. Rom. 5 ott. 2028, 8) e nel Disc. all’apertura della XVI Assemblea Generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 4 ott. 2023. Per il discernimento spirituale nel Sinodo dei Vescovi, cf. il mio articolo «La Cost. ap. Episcopalis communio: sinodo e sinodalità», in Periodica 108 (2019) 655-658.

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