Carissimi Sorelle e Fratelli in Cristo,
nella sua Evangelii Gaudium (2013) papa Francesco indicava quattro principi importanti per “costruire un popolo in cui le differenze si armonizzino, all’interno di un progetto comune” (EG 221). Il terzo principio per cui “la realtà è superiore all’idea” partiva della convinzione che: nella nostra attuale realtà di Chiesa c’è il risultato di una Parola che si è incarnata ed ha continuato ad incarnarsi nella storia del nostro popolo credente modellandone la realtà e questo soprattutto ad opera dei santi.
Perciò, rispetto ad ogni progetto teorico ed astratto di pastorale, è sempre più saggio leggere bene la realtà, con i suoi limiti da superare per quanto possibile ed i punti di forza da potenziare e sui quali appoggiare il futuro.
Questo metodo pastorale, realista ma fiducioso in Dio, che ho cercato di seguire insieme con voi fin dal 2014, mi ha portato a vivere anche la Visita Pastorale come un tentativo rinnovato di leggere la realtà, piuttosto che di programmare in teoria chi dovremmo essere.
Chi siamo? I nostri limiti ed i punti di forza evidenziati dalla Visita Pastorale.
La Visita Pastorale, la Visita ad Limina ed i Questionari composti dalle Unità Pastorali ci restituiscono uno sguardo piuttosto unitario sulla nostra realtà. Cercando di fare sintesi sono partito dall’evidenziare fragilità e limiti. Ispirandomi al Beato Antonio Rosmini, ho provato ad indicare le 5 piaghe della nostra Chiesa diocesana che mi è sembrato di riconoscere, per iniziare a curarle in vista di un rinnovamento ed un vero progresso nella vita di fede. Poi ho indicato anche i punti di forza che sempre durante la Visita mi sono diventati sempre più chiari e reali.
Vorrei che tutti leggessero queste mie poche pagine e cominciasse un confronto sereno, ma anche serio e propositivo su questa descrizione di chi siamo, con luci ed ombre.
I nostri limiti: le cinque piaghe.
Prima piaga. Molti tendono a guardare solo al proprio ambito particolare, non hanno perciò uno sguardo falso, ma certo limitato. Così i problemi si vedono senza comprenderne le radici profonde e lontane e quindi c’è un abbaglio sui reali motivi che generano le fragilità.
È il caso di chi dice: “la nostra parrocchia è in crisi, non ci sono più giovani in parrocchia, la gente non viene più a messa come in passato”. Rimanendo però in una visione limitata si ritiene che ciò dipenda totalmente da fatti locali: è cambiato l’orario di una messa, il sisma ha fatto chiudere una chiesa o dei saloni in cui si facevano per abitudine determinate cose, è cambiato il parroco, ecc… Così ogni elemento piccolo e locale viene preso come motivo sufficiente a spiegare problemi più grandi e lontani come: la secolarizzazione, la contro evangelizzazione dei media, la cultura anti-evangelica molto pervasiva nella società contemporanea. Le possibili soluzioni proposte da chi ha uno sguardo così ristretto non funzioneranno, perché la diagnosi dei mali non è stata corretta e la cura risulterà approssimativa.
Seconda piaga. Lo stesso sguardo ristretto non permette di vedere le risorse, non di una singola parrocchia, ma di un intero territorio. Questo può riguardare le persone: per cui in una parrocchia avanzano gli aspiranti catechisti mentre in quella vicina non bastano. Può riguardare le strutture: che sono ancora pensate a servizio di una singola parrocchia o di un singolo gruppo che le usava e non disponibili per usi multipli di tutta una Unità Pastorale. Questa privatizzazione degli spazi genera spesso stanze quasi chiuse, o usate pochissimo, piene di carte e di cose assommate da gente che le usava, ma ora si è invecchiata, o ridotta a poche unità, ma non vuol condividerle con altri. I locali di ministero sono sempre dei luoghi ecclesiali e dovrebbero essere a disposizione di tutta la Chiesa. Si afferma spesso che ci mancano nuove strutture e spazi più ampi, però non si ha il coraggio di chiedersi come rifunzionalizzare le strutture esistenti, favorendo un utilizzo efficiente e collaborativo, secondo una visione più ampia della pastorale di insieme. Condividere l’uso di uno spazio costringe a coordinarsi tra operatori pastorali, a progettare per tempo e con ordine le iniziative, a rinnovare le proposte privilegiando le azioni fatte assieme. Tutte cose preziosissime per un vero rinnovamento della pastorale e la sua apertura al mondo.
Terza piaga. Consiste nell’aver impostato per decenni quasi tutta la pastorale sulla strategia di: creare “buone abitudini” senza curare le motivazioni per cui si vivevano certe azioni pastorali. Per lo più proponendo celebrazioni di Sante Messe: dette nello stesso luogo, alla stessa ora, dallo stesso sacerdote e quindi quasi identiche durante tutto l’anno, sia per stile celebrativo che per tematiche dell’omelia. Questo stile ripetitivo ed abitudinario non ha retto quando per il Covid l’abitudine si è interrotta per oltre un anno. Alla ripresa delle celebrazioni, chi aveva ormai perso l’abitudine non l’ha ripresa, non avendo forti motivazioni per cambiare le nuove abitudini casalinghe e di isolamento sociale acquisite. Creare nuove buone abitudini costa fatica e pazienza e soprattutto va fatto a partire dal trasmettere convinzioni e motivazioni. Non basta riprendere a celebrare come prima, se non si lavora a riannunciare la fede e rimotivarne il valore nella vita delle persone.
Non esiste poi solo la Santa Messa della domenica mattina, come proposta di preghiera che fa radunare i credenti, offrendo loro la ricchezza della Parola di Dio e la bellezza del condividere la fede.
Quarta piaga. Abbiamo ancora una Chiesa molto centrata sulla figura del prete, che tutto anima e tutto decide, senza cui niente si può muovere. In questa pericolosa confusione tra un presbiterato vissuto come vocazione “al servizio” del popolo di Dio o vocazione “al potere” sul popolo, sta il nucleo del “clericalismo” tanto spesso criticato da papa Francesco. In alcune parrocchie questo schema ha portato anche ad uno stile di “potere” e non di “servizio” di alcuni laici (uomini e donne) che nella piccola comunità, parte di una Unità Pastorale e magari residuo di una micro-parrocchia del passato, sono cresciuti come dei sostituti del prete accentratore, con il fatto che spesso stanno lì da più tempo del prete attuale e sono loro lo snodo di tutto. Sono un aiuto prezioso, ma possono diventare un ostacolo forte al coinvolgimento di altri laici e ad ogni innovazione ormai necessaria. Il clericalismo è davvero una piaga, se poi si trasmette ai laici ed abbiamo “il clericalismo di alcuni laici”, questo è quasi peggiore di quello dei preti.
Quinta piaga. La formazione di preti e laici pensata come: il semplice trasmettere la modalità usuale di fare le cose e non come insegnare a capire la realtà e adattare creativamente le scelte pastorali ad un mondo già molto cambiato. Questo accade, ad esempio, nella formazione dei catechisti che sono invitati a ripetere schemi che funzionavano 20 o 30 anni fa, quando si era formato il loro prete. Anche i grandi Movimenti e Cammini presenti in diocesi, nati negli anni ’70, propongono ancora uno stile pastorale che allora era innovativo, ma oggi se non si rinnova seriamente, risponde sempre meno alla realtà attuale. Manca l’idea di guardare ed ascoltare la realtà, soprattutto i giovani che abbiamo davanti e le loro famiglie che sono profondamente cambiate. Persistere in una pastorale tutta dedotta dai principi teologici o dalle intuizioni dei Fondatori di movimenti nati più di 60 anni fa, non corrisponde al fatto che “la realtà è superiore all’idea” (EG 233).
Ad esempio, nel progettare la catechesi, se non si parte da questa semplice domanda: cosa rende difficile credere in Gesù a questo bambino, ragazzo, giovane o a questa famiglia? Cosa potrei fare e come farlo per facilitare e sostenere il loro cammino di fede? Ci si condanna a dare risposte a domande che non ci sono ed a dire cose che nessuno è interessato ad ascoltare. Non si tratta di insegnare un’altra fede, ma una fede che sa essere nuova, viva e soprattutto attenta al reale.
I nostri punti di forza.
Nella Visita Pastorale sono emersi però anche molti punti di forza e sono almeno il doppio. Per tutti dobbiamo ringraziare il Signore ed il lavoro di questi anni e di quanti ci hanno preceduto. Vederli e valorizzarli significa dare attenzione alla realtà e non alle idee.
1- La fede popolare.
Come ricorda spesso papa Francesco abbiamo la ricchezza di una bella fede popolare, che non si è semplicemente mantenuta, ma è maturata anche in forme più vere e coinvolgenti. Non si tratta solo di devozione, di usanze e tradizioni sopravvissute dal passato, ma di vere esperienze di comunità e di fede, spesso capaci di passare da una generazione all’altra. Per questo è bene averne rispetto ed investirci per aiutarle a maturare ed a diffondersi.
Le Confraternite che si sono sapute rinnovare, arricchendo il loro impegno di fede e preghiera, trasmettendo la fede e non solo i riti alle generazioni più giovani, sono una vera forza di fede popolare. Quando non si sono ridotte a semplici comitati che curano le cibarie per la festa paesana, sono ancora una realtà da valorizzare e su cui puntare. Quando animano processioni e celebrazioni pubbliche, quando mantengono aperte e curate le chiese ed i piccoli santuari disseminati nelle nostre campagne, rendono visibile una fede che sta nel mondo, che percorre le strade e le piazze, ricordando il rapporto con Dio come valore prezioso anche nella vita quotidiana.
I Pellegrinaggi vivono una nuova capacità di essere tempi ed occasioni di crescita di fede. Sono inclusivi, perché come tutti i riti penitenziali sono rivolti davvero a tutti. Poi coinvolgono nell’esperienza di fede tutta la persona: anima e corpo. Infine, quando sono vissuti in famiglia, sono una occasione di esperienza comune che unisce le generazioni. Tra questi il pellegrinaggio Macerata-Loreto è sempre più una ricchezza, non solo di un Movimento ecclesiale, ma anche della nostra gente Maceratese e della nostra Chiesa Diocesana. Esperienze di pellegrinaggi dei giovani, a partire da quelli sulla via Lauretana, sono una ricchezza da riscoprire e valorizzare sempre di più, in particolare nell’Anno Giubilare.
Il valore della fede popolare è poi una realtà condivisa anche dalla gran parte delle Istituzioni e delle realtà di Volontariato sociale, che vi riconoscono una forma di socializzazione potente ed inclusiva. Anche tra i nuovi residenti non cattolici, ma provenienti dal mondo ortodosso, molti condividono queste forme di preghiera popolare, realizzando quell’ecumenismo dal basso che non va certo disprezzato.
2- Il desiderio di pregare.
Durante la Visita pastorale, soprattutto incontrando i malati, i poveri e le persone che vivono qualche forma di difficoltà pratica o morale, molti mi hanno chiesto: “Padre, preghi per me”. Altri mi hanno detto che pregano e spesso mi hanno mostrato il rosario o immagini sacre di cui sono devoti. Non è solo una forma di cortesia: il bisogno di pregare è così radicale e profondo nel cuore dell’uomo che anche la secolarizzazione contemporanea, ancora molto forte e diffusa, non riesce a cancellarlo.
È un desiderio buono, da accogliere ed a cui dobbiamo rispondere offrendo occasioni di preghiera comunitaria, che non si limitino alla messa domenicale, assieme a spazi accoglienti ed aperti per la preghiera personale.
La vita di oggi non permette orari normali a tanta gente. Proporre occasioni di preghiera in orari e forme nuove, potrebbe essere un modo per andare incontro al desiderio buono di pregare che hanno tante persone. Il successo dei media che propongono la preghiera per le persone sole ed ammalate, pensate a Radio Maria, al Rosario da Lourdes di TV2000 o a trasmissioni di EmmeTV sul canale 89 rispondono in qualche modo a questo desiderio, ma si potrebbe fare certamente di più e meglio.
Tenere aperte le piccole chiese diffuse nel nostro territorio, per la preghiera personale o perché persone di buona volontà animino il rosario o la preghiera delle lodi e dei vespri, richiede solo di avere qualcuno che apra e chiuda ogni giorno la chiesa, di rendere protetti e sicuri i Tabernacoli, di tenere protetti gli oggetti di valore e magari di una video-sorveglianza. Non si tratta di cose impossibili se c’è buona volontà.
Durante il Giubileo siamo invitati alla preghiera di intercessione per tutti, soprattutto per i defunti. La più grande preghiera è la celebrazione dell’Eucarestia e durante la settimana, la sera, si potrebbero fare delle belle celebrazioni di suffragio per i cari defunti, in quelle piccole comunità dove non è possibile celebrare l’eucarestia domenicale, invitando le famiglie vicine a pregare insieme per i loro cari.
3- Le Aggregazioni laicali e la pastorale familiare.
Anche se i numeri si sono ridotti rispetto al passato, nella nostra diocesi sono presenti e vive varie realtà di aggregazione laicale, che si occupano della fede degli adulti ed in particolare delle famiglie più o meno giovani. In questo la Pastorale Familiare diocesana ha sempre più svolto un ruolo di proposta unitaria, che valorizzasse i diversi carismi e le varie sensibilità, provando a tenerle assieme almeno in alcuni grandi momenti. Globalmente le aggregazioni laicali garantiscono un numero considerevole di credenti adulti, impegnati e formati, da cui spesso sono sostenuti i servizi di volontariato nelle nostre parrocchie come: la catechesi, la Caritas, la custodia delle chiese, l’oratorio, ed anche il ministero straordinario della comunione.
Di fatto quasi tutte le realtà ecclesiali cattoliche sono presenti, accolte e stimate nella nostra Chiesa Diocesana e spesso compresenti in una stessa parrocchia. Questo non è un segno di debolezza, non è infatti un limite ma una virtù che non siamo una Diocesi “schierata” per una sola realtà. Nasce dal rispetto di tutti i Segni dei tempi ed i Carismi che lo Spirito ha suscitato tra noi.
Riguardo al passato quasi tutte queste esperienze di fede hanno superato uno stile di chiusura e di contrapposizione che presentavano e che caratterizza spesso i primi passi di una aggregazione laicale. Soprattutto quando le parrocchie sono state accoglienti e seguendo la linea diocesana sono state capaci di: “accogliere, armonizzare, discernere e far crescere”, hanno visto buoni frutti. Soprattutto se hanno anche saputo proporre iniziative e servizi comunitari, che favorissero la conoscenza, l’incontro ed il confronto sereno tra i vari aderenti alle diverse Aggregazioni. L’ideale di fare della Parrocchia e dell’Unità Pastorale: una Comunità di Comunità, accogliente e propositiva, evitando esclusioni o l’affidamento in monopolio dei servizi e degli spazi, è sempre più condiviso e dati i risultati va incoraggiato in ogni modo.
4 – Gli Oratori ed i Giovani.
Molte Unità Pastorali hanno un buon Oratorio in una delle loro parrocchie. È una ricchezza che tutti dovremmo custodire ed alla cui vita tutti dovremmo collaborare, anche con l’impegno economico. Non è giusto usare in comune delle strutture e non collaborare al loro mantenimento. Dobbiamo impegnarci tutti perché ogni Oratorio sia veramente un luogo di accoglienza, di svago educativo, dove è importante anche lo sport e lo svago, ma soprattutto la formazione umana e cristiana. Ma per un vero Oratorio sono necessarie: una buona dirigenza competente e dedicata, un volontariato numeroso e ben formato, tempi e spazi adeguati. Tutto questo non si improvvisa e non può essere fatto ovunque. Pensare ad un Oratorio per una parrocchia piccola o anche media è quasi sempre velleitario. Solo la dimensione di una Unità Pastorale, ma dove tutti collaborino e lo sentano come una ricchezza comune, può permettere non solo di realizzarlo, ma anche di dargli solidità e futuro. Alcuni oratori nati con questa visione aperta stanno non solo sopravvivendo, ma crescendo e si sta formando una tradizione buona perché giungono i primi nuovi animatori “nati” in Oratorio. I sostegni economici Regionali e Comunali possono essere un aiuto prezioso, ma solo il coordinamento con la Diocesi ed il Coordinamento Diocesano Oratori forniscono quella competenza di progettazione e rendicontazione che permettono di accedere a questi aiuti.
L’attività dei Campi Scuola, che quasi tutte le Unità Pastorali portano avanti ed iniziative diocesane coordinate dalla Pastorale Giovanile diocesana e locale, hanno mantenuto un rapporto tra i giovani e la fede anche dove il passaggio della fede tra una generazione e l’altra era molto fragile.
È sempre difficile dare continuità al cammino di fede dei giovani di oggi, che però non mancano di slanci generosi ed appassionati. Per il lavoro di tanti animatori e catechisti, degli insegnanti di religione e di molti dei nostri preti più giovani, la fede dei giovani continua a dare speranza alle nostre comunità, quantomeno in maniera molto più significativa che in altre diocesi. È un tesoro su cui investire e da non dimenticare mai.
Senza farsi scoraggiare dalla fragilità di una fede giovane che spesso è molto emotiva. Le emozioni non sono un male, sono energie da educare e convogliare verso il bene, perché aiutino una crescita equilibrata e generosa della personalità del giovane.
Vorrei poi ribadire il valore dello studio per chi lavora nell’ambito educativo. Non si può educare “suonando ad orecchio”, bisogna conoscere ciò che si fa e far tesoro della sapienza dei grandi educatori, tra cui la chiesa ha avuto molti santi: come don Bosco, san Francesco di Sales, san Filippo Neri. Perciò è bene offrire a livello diocesano, occasioni di formazione per gli educatori, ma è necessario che gli educatori partecipino e valorizzino queste offerte formative.
5 – Il volontariato sociale.
Nel nostro territorio sono presenti molte associazioni di volontariato e di protezione-civile, socio-assistenziali e socio-sanitarie, che spesso collaborano con le nostre parrocchie. Molte riescono a coinvolgere anche dei giovani, pur essendo nella gran parte formate da pensionati. Il numero delle sigle registrate nei vari comuni è molto alto, ma rispetto al passato si riscontra che: sono aumentate di tanto le sigle, mentre il numero delle persone globalmente coinvolte è diminuito. Ciò testimonia in questo campo la crescita del particolarismo e la tendenza a formare gruppi chiusi e spesso contrapposti. Nonostante questi segni di crisi, la realtà è ancora molto rilevante e mostra la propensione della nostra gente all’impegno nel bene, soprattutto se si possono sperimentare e testimoniare risultati concreti e significativi. Questo dovrebbe incoraggiarci a fare proposte in questo ambito, sia di collaborazione con gli Enti presenti che rivolte a nuovi volontari.
Spesso le persone che vanno in pensione, ancora sani ed attivi, hanno competenza e desiderio di fare del bene. Tra questi, anche se la vita li ha portati lontani dalla realtà ecclesiale, potremmo trovare molte persone ben disposte e la prima proposta da fare loro è chiaramente la collaborazione con la nostra Caritas.
Vari esempi positivi, incontrati durante la visita pastorale, confermano che: quando parroci o collaboratori parrocchiali hanno fatto proposte concrete di impegno nel bene, anche a persone molto lontane dalla vita di fede, si sono riaperti cammini di riscoperta della fede e della vita cristiana molto incoraggianti.
6 – Il Diaconato permanente.
Negli ultimi 15 anni siamo passati da 13 a 18 Diaconi permanenti presenti in Diocesi. La crescita non è stata però solo numerica, ma anche nella qualità della formazione e soprattutto nella comprensione sempre più chiara del loro ruolo, entro la comunità parrocchiale e diocesana.
Il ministero del Diaconato non ha nulla che fare con: il garantire un sacrestano in più alla parrocchia o al parroco. La cura e la custodia dei luoghi sacri e l’assistenza perché le celebrazioni siano decorose e ben partecipate, è un ministero piuttosto dei Ministri straordinari dell’eucarestia e degli Accoliti istituiti, che dei Diaconi.
A differenza di altre diocesi, dovremmo essere fieri del fatto che i nostri Diaconi non si limitano a svolgere un servizio di assistenza liturgica nelle celebrazioni, ma sono impegnati in maniera più fedele al sacramento ricevuto: in ambito caritativo ed amministrativo, sia Diocesano che di Unità Pastorale, anche con significativi compiti dirigenziali. È cresciuto anche di qualità il coinvolgimento delle spose dei nostri diaconi nella collaborazione alla vita di preghiera e di azione pastorale dei loro sposi.
Tutto questo ha prodotto nelle nostre comunità una stima crescente per il servizio ecclesiale del diaconato ed in varie Unità Pastorali i Diaconi costituiscono un riferimento affidabile e riconosciuto per la vita di fede di molti cristiani. Il cammino triennale di formazione teologica per i Ministeri Istituiti, iniziato ad ottobre 2024, aiuterà ad avere Catechisti Lettori ed Accoliti ben formati, in grado di sostenere l’evangelizzazione e la catechesi di giovani, adulti e famiglie, come il servizio liturgico e la cura della pastorale dei malati.
Questa scuola potrebbe poi fornire anche una base di persone sensibili ed impegnate, tra cui valutare in futuro, insieme con i loro parroci, nuovi candidati per il Diaconato permanente.
7 – I mezzi di comunicazione diocesani.
Un impegno di coordinamento e collaborazione, portato avanti con fiducia e sempre più chiara accoglienza da parte dei vari soggetti, ha portato oggi ad un sistema di comunicazione diocesana di tutto rilievo. L’Ufficio stampa diocesano, l’Ufficio informatico, il Sito diocesano con la presenza sui vari Social, EmmeTV Canale 89, Radio Nuova Macerata e le pagine mensili di “Emmaus” su Avvenire, sono oggi un sistema integrato di comunicazione, che raggiunge ogni giorno molte persone ed ha numeri, certificati per i grandi eventi, che superano i 5.000 contatti.
Questo sistema di comunicazione ha mostrato la sua preziosità durante la pandemia, mantenendo un collegamento tra la Chiesa diocesana ed i suoi fedeli, che nel tempo si è rilevato prezioso e che tutt’ora continua. È importante che si potenzi il volontariato in ambito comunicativo, così come l’uso delle competenze acquisite per realizzare progetti di formazione dei nostri giovani alla comunicazione competente e ricca di contenuti positivi, via video e social. Durante la visita pastorale ho verificato più volte che ci sono ampi spazi di crescita per far aumentare la connessione tra questi mezzi e le realtà vive ed attive del nostro territorio diocesano, in particolare i giovani degli oratori.
8 – Presbiteri e missionarietà.
Un valore prezioso che sta facendo crescere la collaborazione tra i presbiteri di una stessa Unità Pastorale è la vita comune del clero, attuata nelle varie Case del clero sparse ormai in tutta la diocesi. Queste strutture, che garantiscono ai nostri presbiteri una vita decorosa e curata ad un costo modico, sono anche ospitali per i nostri presbiteri missionari quando tornano per brevi periodi dalla missione. In questo modo c’è un prezioso scambio di esperienze, i presbiteri in missione non si sentono soli e dimenticati e possono portare una visione di Chiesa universale anche nelle nostre parrocchie più piccole. Questa visione universale, che lega la nostra piccola diocesi: alla Cina, all’America latina, all’Africa ed a varie parti dell’Europa e dell’Asia, è una grande ricchezza che ci permette di comprendere la grandezza del mondo e della Chiesa Cattolica e di essere sempre più aperti al confronto ed al dialogo piuttosto che allo scontro tra le culture. Nella visita pastorale ho visto come l’accoglienza di sacerdoti stranieri e più in generale delle persone di altre parti del mondo, sia cordiale e serena ovunque. La nostra “gente di Chiesa” in questo ambito è molto più avanti di tante altre persone e fa ben sperare per un futuro in cui la vita sarà sempre più globale. In questi anni poi molti presbiteri giovani si sono impegnati a formarsi con uno studio di qualità, si pensi che negli ultimi 15 anni siamo passati da 4 sacerdoti diocesani con Laurea o Licenza in Teologia o Diritto a ben 16. Oggi in diocesi abbiamo tutte le competenze necessarie per tenere un corso di teologia a livello accademico, avendo tutte le materie teologiche e pastorali. Il nostro nuovo corso di teologia, che può essere seguito anche on-line, ne è una bella prova.
Anche la presenza del Seminario Missionario Redemptoris Mater, sempre più legato alla Diocesi e con i suoi formatori che oggi reggono la Parrocchia delle Vergini, è una ricchezza da valutare e valorizzare.
9 – La passione per la Parola di Dio.
Un punto di forza su cui contare è la diffusa e crescente attenzione e passione per la lettura, lo studio e la preghiera con la Parola di Dio. Se negli anni ’40 del secolo scorso si diceva ironicamente che: “i cattolici italiani hanno tanto rispetto della Bibbia da non aprirla mai”, oggi le cose sono radicalmente cambiate. Soprattutto c’è un desiderio diffuso, sia tra i giovani che gli adulti, di crescere nel rapporto con la Parola di Dio di cui tutti riconoscono il valore. È però passato il tempo degli anni 70 o 80 in cui bastava chiamare “Lectio divina” un qualsiasi incontro, in cui mettere un po’ di Bibbia, per radunare tanta gente. Oggi il desiderio è ancora forte, ma ricerca proposte di qualità.
D’altra parte, i social, la TV ed internet permettono di seguire le Lectio Divine accattivanti e competenti di ottimi divulgatori, per cui il gusto dei cristiani si è affinato. La critica diffusa alle omelie di cui parlano spesso i giornali è anche dovuta al fatto che: chi va a Messa oggi lo fa per fede, ha di solito una buona cultura ed è in grado di capire subito se chi fa l’omelia si è ben preparato o sta ripetendo stancamente discorsi scontati, moralistici e poco legati alla Parola che è stata proclamata nelle Letture.
Questa crescita di qualità dei cristiani dovrebbe spingere i nostri preti e diaconi allo studio e ad una preparazione più attenta e competente delle omelie ed anche dell’arte di presiedere le celebrazioni.
La liturgia ha un suo ritmo celebrativo, che non tollera né lungaggini, né corse per finire presto. Poi celebrare bene richiede di creare un giusto equilibrio tra: la parola, i segni, il canto ed il silenzio.
Ho verificato durante la Visita pastorale che: dove laici e presbiteri di una Unità Pastorale si ritrovano insieme ogni settimana per meditare il vangelo della domenica seguente, cresce subito la qualità e l’apprezzamento delle omelie domenicali. Dove si celebra correttamente rispettando ritmo ed equilibrio, nonostante la pandemia le presenze a Messa non sono diminuite.
10- L’impegno per la Carità, l’accoglienza ed il lavoro.
Un conclusivo ma importante punto di forza, grazie al lavoro fatto da Caritas diocesana e da tante parrocchie con i loro volontari, è il salto di qualità che si sta facendo nel vivere la carità. Si sta passando da un’azione di vaga beneficenza, che si limitava a distribuire abiti, alimenti e piccole somme, ad un impegno di ascolto e comprensione dei veri bisogni delle persone. Oggi siamo sempre più in grado di attuare interventi: più mirati, più efficaci ed anche più capaci di superare le cause della povertà. È quel processo di crescita dalla Beneficenza alla Carità, che la Chiesa deve sempre rinnovare, perché nella storia le povertà si diversificano e si complicano sempre. La nostra missione è: riconoscere i nuovi poveri e trovare strade che non consolidino le povertà esistenti. È nostro compito anche fungere da stimolo al bene per le istituzioni pubbliche ed attuare sinergie col mondo del lavoro, che ci portino tutti a fare passi concreti e buoni verso il bene comune. È l’aspetto più sociale della nostra azione cristiana, che sta sempre più diventando competente e concreta.
Il rischio però di ricadere solo nella logica della denuncia sterile, del perdersi in chiacchiere, o dell’attivismo improvvisato, in questo ambito è sempre possibile e richiede grande vigilanza. Ci sono però tante forze buone e giovani ed altre ne stiamo mobilitando, che permettono di guardare al futuro con grande speranza in questo campo.
Un rinnovamento difficile, ma necessario.
Questa riflessione appena conclusa sulle “piaghe” ed “punti di forza” della nostra attività pastorale ha già tracciato delle indicazioni pratiche e dei principi più generali, che meritano di essere riassunti. L’attività pastorale oggi non va più pensata come il semplice fare una serie di cose, ma va prima ponderato bene: Chi sono i destinatari? Di cosa hanno bisogno? Come offrire loro un cammino di fede piuttosto che imporlo, a rischio di provocare una chiusura immediata?
Sarebbe un errore rispondere a domande non fatte, mentre non ascoltiamo le vere domande che ci vengono rivolte. O magari non cercare di comprendere le domande che i nostri fratelli hanno nel cuore, ma non pensano di rivolgerle a noi, perché non ci credono capaci di ascoltare e dare risposte utili.
Forse ci lasciamo troppo dare per scontati: “quelli della parrocchia possono solo dire e dare le stesse cose”. Per questo c’è bisogno di riascoltare, riguardare e ripensare insieme.
Anche di essere liberamente critici verso tante soluzioni e proposte pastorali che erano moderne e efficaci quando furono inventate: ormai 50 anni fa! Oggi non sono più né attuali, né soluzioni!
Questo obiettivo di nuovo ascolto, nuova comprensione, recupero di creatività, secondo una buona logica dovrebbe partire dal rinnovare o far nascere organi di partecipazione e confronto fra clero e laici, oggi poco presenti o a volte pensati solo come altoparlanti del prete e non radio rice-trasmittenti, in cui cioè si parla e si ascolta. Ciò che manca non è tanto l’impegno di chi opera nelle nostre Unità Pastorali, ma di dargli spazio vero, operativo ed innovativo.
Per questo è indispensabile, anche secondo le indicazioni del documento finale del Sinodo dei Vescovi, che ogni Unità Pastorale abbia o rinnovi un Consiglio di Unità Pastorale formato dai presbiteri, dai diaconi, ma anche da un paio di laici (uno solo se l’UP è piccola) per rappresentare quanti lavorano in ogni settore della pastorale, ad esempio: la Catechesi, la Carità, la Liturgia, l’Amministrazione, la Pastorale familiare, la Pastorale giovanile, il Servizio della comunione ai malati, l’Oratorio, le Confraternite e con almeno due rappresentanti delle Aggregazioni laicali presenti. Questo porta ad un Consiglio che non superi i 20 membri laici, più i presbiteri ed i diaconi, coordinati dal Coordinatore dell’Unità Pastorale e dal Segretario di questo Consiglio di Unità Pastorale.
Spesso però all’interno di questi Consigli Pastorali e tra i gruppi di collaboratori, non ci sono le forze migliori del paese o del quartiere. Certamente, più le nostre Parrocchie e Unità Pastorali saranno luoghi sereni e capaci di confronto, più riusciremo ad attrarre nuovi e preziosi collaboratori.
Questi Consigli dovrebbero riunirsi circa una volta al mese, durante il tempo più significativo dell’anno pastorale da ottobre a maggio, per dare modo ai loro rappresentanti nel Consiglio Presbiterale Diocesano e nel Consiglio Pastorale Diocesano di farsi portavoce del discernimento pastorale delle varie Unità Pastorali.
Va lavorato poi molto nel fare un vero raccordo tra periferia e centro.
Manca ancora una mentalità capace di capire che gli Uffici Diocesani sono a servizio delle Unità Pastorali e non viceversa. Ancora la Curia è sentita da alcuni come un centro da evitare, a cui tenere nascoste le cose, perché non si impiccino troppo di ciò che avviene in periferia, creando problemi. Questo spesso è dovuto al fatto che non si comprende la necessità attuale di seguire le normative ed i protocolli, coltivando l’idea errata che tutto sia solo burocrazia. Oggi la collaborazione indispensabile con le Istituzioni Pubbliche, in un mondo che si è fatto globale, non permettono più di “fare le cose alla buona” e questo non era saggio neppure in passato, come ci sta mostrando l’esperienza. Il ruolo degli Uffici di Curia è così di dare alle Parrocchie ed Unità Pastorali quel supporto di conoscenze tecniche e di coordinamento di cui oggi non si può più fare a meno.
In conclusione
Questa è la foto che: la preparazione della Relazione per la Visita ad Limina, quella diocesana del Cammino sinodale e soprattutto la Visita Pastorale da poco conclusa, mi hanno permesso di scattare della nostra Chiesa Diocesana con le sue poche ombre e le sue tante luci. Questa è: “la nostra realtà, superiore ad ogni idea”.
È certamente una visione carica di speranza, ma che riconosce anche fatti positivi molto concreti. Non va dimenticato che ci stiamo già rialzando da un terremoto e da una pandemia che ci aveva chiuso in casa e questo avviene nonostante che siamo in un tempo segnato dalla paura della guerra e della crisi economica.
Nell’aprile 2021 firmavo una lettera pastorale: “Per una Chiesa viva e non sopravvissuta”, che ancora in tempo di lotta alla Pandemia voleva guardare avanti.
Scrivevo: Carissimi “fratelli tutti”,
ciò che deve caratterizzare la speranza cristiana è la capacità di attendere con perseveranza ciò che non è ancora visibile (Rm 8,24-25). In questo tempo di Chiesa così tribolato ed anche spaventato, la grande tentazione è di contare solo sulle nostre forze e perciò, al massimo, di sperare di sopravvivere al Covid19. Una speranza così piccola però potrebbe ammalare non solo i singoli, ma anche la nostra intera Chiesa diocesana. Una Chiesa semplicemente “sopravvissuta” sarà ancora più fragile, insicura, insignificante di quanto eravamo prima. Oltre questo tempo di pandemia non dobbiamo perciò semplicemente sopravvivere, ma risorgere.
Risorgere non è tornare alla vita di prima, come fece Lazzaro che poi morì di nuovo (Gv 11,1-44), ma passare alla vita eterna dei risorti: una vita di pienezza e di comunione con Dio senza limiti e barriere, come la vita risorta di Gesù. Risorgere dalla pandemia è perciò passare ad una vita di Chiesa rinnovata e più piena, più aderente al Vangelo, più capace di dialogare col mondo di oggi e di essere per tutti una proposta significativa ed attraente di vita buona. Papa Francesco ha ricordato che da una crisi si può uscire in tanti modi e la cosa peggiore di una crisi sarebbe: “sprecare l’occasione di uscirne migliori” (Catechesi del 26-08-2020).
Con questo Documento di conclusione della Visita Pastorale, credo di poter donare un segno di speranza importante per tutti noi: quel sogno di una Chiesa risorta e non solo sopravvissuta si è già in parte avverato e se continueremo su questo buon cammino, potrà rafforzarsi e consolidarsi anche per la grazia speciale di questo Giubileo appena iniziato.
Il Vescovo Nazzareno