2022/02/11 Omelia Santa Messa per i malati

11-02-2023

Cari fratelli,

il significato di questa eucarestia, che celebriamo insieme con una rappresentanza degli operatori del mondo della sanità e degli ammalati, traspare dalle letture di questo giorno.

Il libro della Genesi, con il suo linguaggio di racconto altamente simbolico, ci insegna che il male tende a separarci da Dio e dagli altri, ed allora il dolore, il senso di abbandono e la paura si amplificano. Questo è vero non solo per il male morale, ma anche per la malattia.

Di fronte alla malattia tutti abbiamo paura: i sani sono tentati di sfuggire il contatto con gli ammalati per non pensarci, i malati sono tentati di rinchiudersi nel loro dolore e soprattutto nella loro paura, così difficili da comunicare a chi sta bene. E Dio cosa fa: in questo bel racconto si dice che Dio viene a cercarci, dice all’uomo: “dove sei?”. “Adamo, non avere paura della tua fragilità, riconosci senza timore i tuoi errori e cominciamo di nuovo insieme a lottare contro il male, contro ogni forma di male”.

Solo così potremo affrontare con speranza una vita che non è tutta facile, nella quale come dice Genesi: anche le cose belle come il parto, o il bel raccolto di un campo, sono spesso intrise di fatica e di dolore.

In questo racconto la Bibbia ci insegna ad amare la vita, anche quando è difficile, quando è segnata di fatica e di dolore. Il segreto è: non fuggire, non lasciare solo il fratello che soffre, non vergognarsi delle proprie fragilità.

Soprattutto nel mondo di oggi questo non è facile, perché viviamo in una società che ricerca la perfezione e che si illude, per le possibilità che la tecnica ci offre, di essere capace da sola di sconfiggere ogni male, ogni fatica, ogni fragilità. Quando però non ci riusciamo, come guaritori ci sentiamo falliti e come malati, sbagliati e disperati.

Quante volte da voi medici ed infermieri la società si aspetterebbe miracoli. Durante la fase dura del Covid vivano osannati i medici che promettevano soluzioni facili ed invece erano criticate le persone vere e schiette: quanti riconoscono che di Padreterno ce n’è uno solo, che la lotta contro il male la facciamo da esseri umani, anche noi fragili, anche noi fallibili, anche noi bisognosi di sostegno umano e magari della forza interiore che viene dalla fede. Vorrei lodare pubblicamente i medici, gli infermieri, tutti coloro che operano in sanità, che non si fingono dei superman, ma lavorano con scienza e coscienza, riconoscendo i loro limiti umani. Chi fa così non finisce sui giornali e forse non fa carriera, ma fa il bene.

Ce lo ricorda il racconto del vangelo della moltiplicazione dei pani. I discepoli sono onesti con Gesù: “la gente che ha fame è tantissima, noi siamo poveri uomini ed abbiamo solo sette pani”. Le forze umane per contrastare la malattia, la sofferenza, le fragilità della vita, saranno sempre limitate. Chi rincorre la perfezione ed il successo potrebbe essere tentato di fuggire, di dire: “andate a farvi curare da un’altra parte”. I veri Discepoli invece, sanno offrire a Gesù ed agli affamati quello che hanno. Rischiano anche di persona, perché quei sette pani erano le loro scorte, per non morire di fame in un deserto. Ma la loro vocazione non è di essere uomini di successo, ma pescatori di uomini, curatori di uomini, collaboratori con Dio per il bene.

In questi nove anni a Macerata di storie belle come questa della moltiplicazione dei pani, ma vissute da voi ne ho conosciute molte. Ho visto tante storie fatte di dedizione, di umiltà, di lavoro e di condivisione. Grazie.

Dopo queste mie povere parole vivremo insieme il sacramento dell’Unzione dei nostri fratelli ammalati. Al tempo di Gesù l’olio era il farmaco usato per: lenire le lividure, per medicare le ustioni, per favorire la cicatrizzazione delle ferite. Gesù ha voluto che si unisse una grazia spirituale al gesto di cura più comune fatto al suo tempo.

L’unzione ci insegna così che: ogni atto di cura di chi soffre è un atto sacro, un atto gradito a Dio, in cui certamente il Signore ci sostiene e collabora con noi per il bene. L’unzione, come ogni sacramento, non è perciò un atto magico o superstizioso, ma la certezza che: Dio opera nella nostra vita, sostiene il nostro impegno di bene, il nostro desiderio buono di alleviare le sofferenze dei fratelli.

Venendo tra voi con l’olio santo, mi sento come quei Discepoli che dicono a Gesù: “abbiamo solo sette pani e la sofferenza di questi fratelli è così grande. Ma noi tutti crediamo, o Signore, che col Tuo aiuto potremo fare del bene”.

È bella e semplice la preghiera dell’Unzione: “Per questa santa unzione e per la sua piissima misericordia ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito Santo e, liberandoti dai peccati, ti salvi e nella sua bontà ti sollevi”.

Che il Signore vi doni la salvezza dell’anima ed il sollievo dal dolore, è la richiesta che per intercessione di Maria Santissima, la Madonna di Lourdes, la Madonna della salute, facciamo a Dio per voi e con la forza che viene dallo Spirito Santo. Chiedo a tutti di vivere questo gesto con fede, di sostenerlo con una preghiera semplice ed intensa, vissuta nel cuore.

Grazie a voi, fratelli ammalati, grazie a quanti vi hanno accompagnato qui, perché ci date il privilegio di fare un po’ di bene, ed è davvero un privilegio. Perché chi si avvicina a chi soffre si avvicina al Signore che soffre nelle membra  di questi fratelli. Lo ha detto Gesù: “ogni volta che avete fatto del bene ad uno di questi miei fratelli più piccoli e fragili, lo avete fatto a Me”.

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