2023/03/26 Omelia V Domenica di Quaresima

26-03-2023

Ci sono molti modi di leggere il vangelo della resurrezione di Lazzaro. Si passa da chi dà grande attenzione alla straordinarietà di questo miracolo, fino a chi cerca di minimizzarlo, ipotizzando un caso di morte apparente.

Il vangelo di Giovanni ci aiuta a capire bene come leggere, quando Gesù stesso spiega che questo dono straordinario fattogli dal Padre non è per Lazzaro, né per l’amicizia che Gesù aveva con lui, ma “perché credano che Tu mi hai mandato”. Questo miracolo è infatti un segno che apre gli occhi della fede, aiuta a vedere in modo nuovo la vita e la morte. Questo di fatto è ciò che accadde allo stesso Lazzaro. Tornato in vita poi sarebbe di nuovo morto, dopo qualche anno come ogni uomo, ma certamente il suo sguardo sulla vita e sulla morte era cambiato. In maniera simile a quanti tornano in vita dopo un lungo coma: Lazzaro da quel giorno avrebbe guardato ad ogni attimo di vita come un dono immeritato ed inaspettato, mentre la morte non aveva più quel volto di fine ineluttabile di ogni speranza. Lazzaro ormai sapeva bene che il Padre celeste non ci abbandona nella morte e Gesù, fonte della vita, ci rimane vicino anche oltre le soglie della morte. Perché, lo sappiamo bene, quello che della morte ci spaventa di più è doverla affrontare da soli. Anche Gesù sulla croce pregava dicendo al Padre “perché mi hai abbandonato?”. Lazzaro invece sperimentò per tutti noi che Gesù non abbandona nella morte i suoi amici.

Un poeta religioso vissuto in Armenia nel 1100, Nerses Shnorhalì che significa “il pieno di grazia”, ricordato come grande santo dagli Armeni, ma venerato anche dagli altri cristiani d’oriente, ha scritto in un passo di una sua preghiera poetica.

Come Lazzaro, (tuo) amico,

Io morto fui messo nella tomba;

Ed è non da quattro giorni ma da lunghi anni

Che l’anima mia morta giace nel mio corpo.

Fa` risuonare in me la voce tua celeste

E fammi intendere la (tua) Parola;

Scioglimi dai vincoli infernali,

Ritraimi dalla mia casa tenebrosa.

L’intuizione poetica di Nerses è che il racconto di Lazzaro parla della nostra vita spirituale. Ci dice che anche per molti anni potremmo ritrovarci ad essere vivi nel corpo, ma morti nell’anima. È la condizione di chi non si apre all’ascolto della Parola del Signore, che chiama alla vita dello spirito. Una esistenza, che scorra opaca, senza un impegno serio a donare la vita per il bene e per gli altri, è una forma di morte dell’anima. È come se fossimo rinchiusi nella tomba del nostro egoismo, delle nostre paure. Sepolti nel buio esistenziale, dove manca la fede e la speranza.

Solo l’incontro con Gesù via, verità e vita, apre i nostri sepolcri e ci libera dalle bende, dai legami che ci impediscono di camminare dietro a Lui.

“Io sono la resurrezione e la vita”, dice Gesù parlando al presente. La resurrezione, infatti, non è solo un evento che giungerà alla fine dei tempi, come credeva Marta. Gesù ci dice che la resurrezione è un fatto presente, è fin da ora la comunicazione di una vita che vince la morte.

Chi crede in Gesù guarda alla morte ed alla vita in maniera nuova. La morte non è più la fine, ma diventa un passaggio verso la vita più vera. Così ogni piccola morte, ogni croce che ci troviamo di fronte nel corso della vita, apre ad una vita nuova.

Davanti ad ogni scelta dobbiamo necessariamente rinunciare a qualcosa. Scegliere è sempre lasciar morire le altre possibilità. Oggi tanti hanno così paura di perdere delle possibilità di vita che non riescono a scegliere con sicurezza, non sanno decidere di vivere in pienezza.

Gesù grida a tutti noi: “vieni fuori”, vieni alla luce, vieni alla vita, cammina verso la verità e non lasciarti contaminare da una mentalità spaventata davanti alle scelte, perché è una mentalità di morte.

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