Il Sacramento della Misericordia – 3° Quaresimale

Proposito di non commetterne più
22-02-2016

Dal vangelo di Luca (Lc 14,25-33)

25Una folla numerosa andava con Lui. Egli si voltò e disse loro: 26«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.27Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
28Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? 29Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, 30dicendo: «Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro». 31Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? 32Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. 33Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.

 

PROPOSITO DI NON COMMETTERNE PIU’

Per vivere bene il sacramento della misericordia bisogna tenere profondamente uniti due atteggiamenti del cuore: il dolore dei peccati, di cui abbiamo parlato la volta scorsa ed il proposito di non commetterne più su cui vogliamo riflettere oggi. Sono due sentimenti profondamente legati: uno che guarda al passato di peccato, di cui sente tutto il disgusto, e l’altro che guarda al futuro, un futuro di bene, di libertà dal male, di cui sente tutta la luminosa attrazione. Per seguire Gesù nel concreto della vita, ci dice il vangelo che abbiamo appena ascoltato, è necessaria una passione che viene dal cuore ed una saggezza che viene dalla mente e della riflessione. La vita di fede non è solo emozione ne solo calcolo, ma le due possono ed anzi debbono collaborare per portarci al bene.

Il vangelo, “la buona notizia” riguardo al proposito di non commettere più i peccati appena confessati, è che non solo che desideriamo di fare un tale proposito, ma che “dobbiamo” farlo. E’ una buona notizia perché se Gesù, attraverso la Chiesa, ci dice di sperare con certezza di non rifare i peccati commessi, vuol dire che possiamo credere che ciò sia possibile.

Il proposito è perciò prima di tutto un atto di fede nella onnipotenza di Dio, che vuole e può aiutarmi a vincere proprio quel peccato che mi aveva sconfitto, quel peccato che io ho appena confessato.

Il proposito sincero però può nascere in noi solo se crediamo che siamo dei peccatori, ma non siamo dei corrotti, delle persone cioè che non vogliono vincere il male che è in loro. Papa Francesco insiste spesso su questo tema della distinzione tra peccatore e corrotto. Ha detto due anni fa in un’omelia che commentava il vangelo della resurrezione di Lazzaro: “Gesù ha dato la vita a Lazzaro. Tutti noi abbiamo dentro alcune zone, alcune parti del nostro cuore che non sono vive, che sono un po’ morte; e alcuni hanno tante parti del cuore morte, una vera necrosi spirituale! E noi quando abbiamo questa situazione ce ne accorgiamo, abbiamo voglia di uscirne, ma non possiamo. Soltanto il potere di Gesù è capace di aiutarci ad uscire da queste zone morte del cuore, queste tombe di peccato, che tutti noi abbiamo. Tutti siamo peccatori! Ma se noi siamo molto attaccati a questi sepolcri e li custodiamo dentro di noi e non vogliamo che tutto il nostro cuore risorga alla vita, diventiamo corrotti e la nostra anima incomincia a dare, come dice Marta, “cattivo odore” (Gv 11,39), l’odore di quella persona che è attaccata al peccato.

Pensiamo: qual è quella parte del cuore che si può corrompere, perché sono attaccato ai peccati o al peccato o a qualche peccato? E togliere la pietra, togliere la pietra della vergogna e lasciare che il Signore ci dica, come ha detto a Lazzaro: «Vieni fuori!». Perché tutta la nostra anima sia guarita, sia risorta per l’amore di Gesù, per la forza di Gesù. Lui è capace di perdonarci. Tutti ne abbiamo bisogno! Tutti. Tutti siamo peccatori, ma dobbiamo stare attenti a non diventare corrotti!”.

L’insegnamento di papa Francesco, come è suo solito, è chiaro e diretto. Un peccatore comincia ad essere un corrotto quando, si abitua al peccato, quando si arrende al peccato, quando spegne anche la speranza di uscire dal sepolcro puzzolente del suo peccato ed allora il proposito di non commetterne più diventa una bugia, perché non ci crede. Non credo che sia possibile, perché considero più forte la tentazione al male che la forza di Dio che mi può attrarre al bene.

Come si può uscire da questo sepolcro di morte? Come posso costruire fondamenta solide per il mio proposito di vincere nel futuro il peccato, che ho appena confessato dicendo che mi aveva già più volte sconfitto nel passato?

L’insegnamento della parabola di Gesù che abbiamo ascoltato ci offre un consiglio prezioso: chi vuol costruire con successo, chi vuol vincere la guerra, deve valutare bene, deve meditare e riflettere e fare scelte, da piccole scelte a grandi scelte, ma tutte certo segnate dalla croce, dal sacrificio, dalla rinuncia. Non si può vincere la guerra al peccato andando avanti spensierati, come fosse una passeggiata tranquilla.

La sapienza della Chiesa lo sa bene e dà un consiglio saggio: evitare le occasioni prossime di peccato! Perché la sconfitta del peccato nasce dalla fede in Dio e dalla prudenza, una virtù sempre necessaria per chi è fragile e noi tutti siamo fragili. Soprattutto siamo fragili nel ripetere i peccati già commessi.

Tutti abbiamo sperimentato che è più facile ripete un peccato già fatto che cadere in un peccato nuovo, però se riflettiamo sulla nostra esperienza di peccato possiamo constatare che c’è una lunga serie di momenti in cui un peccato si approssima e se noi cambiamo strada lo evitiamo. E’ esemplare la storia biblica di come Davide, il santo re Davide, divenne il mandante di un omicidio.

E’ tutta una strada in discesa che comincia con la pigrizia di Davide, che dopo tante battaglie decide di restare per una volta fuori della mischia e rimane a casa mentre il popolo va in guerra. Ma uno come Davide non può stare senza far nulla. E’ il suo primo errore, pensare che fare il proprio dovere sia una cosa negativa. Pensa di potere trovare gioia nella pigrizia, ma ben presto si annoia. Così si mette a guardare dalla terrazza e vede una bella donna che fa il bagno. La sua reggia è più alta e può spiare dentro i giardini recintati delle altre casupole di Gerusalemme. Davide si è fatto costruire una casa più alta delle altre spinto dalla superbia e questo piccolo cedimento al vizio è l’inizio di una tentazione più grande. Invece di fuggire le occasioni prossime di peccato gli si avvicina. Poi tra lui e lei c’è distanza. Può essere indelicato guardarla, ma finchè resta lontana non può fare altro di grave. Davide però vuole vederla da vicino, la fa chiamare alla reggia e restano da soli. Come finisce la storia lo sapete, ma quello che mi preme è la superficialità di Davide, che finge di non conoscersi e di non conoscere il rischio a cui va incontro. Così dice papa Francesco si passa da peccatori a corrotti: “è il passaggio dal peccato alla corruzione. Qui Davide incomincia, fa il primo passo verso la corruzione.

Ha il potere, ha la forza. E per questo la corruzione è un peccato più facile per tutti noi che abbiamo qualche potere, sia potere ecclesiastico, religioso, economico, politico… Perché il diavolo ci fa sentire sicuri: ‘Ce la faccio io’”. La corruzione – dalla quale poi per grazia di Dio Davide si riscatterà – ha intaccato il cuore di quel “ragazzo coraggioso” che aveva affrontato il filisteo con la fionda e cinque pietre”.

La storia di Davide ci insegna che, dirsi la verità sulle proprie fragilità è un modo serio per dare sostanza al desiderio di evitare le occasioni prossime di peccato. Una grande aiuto in questo campo viene dall’amicizia spirituale. Nella storia di Davide sarà incarnata dal profeta Natan e dalla sua parabola. Di cosa si tratta? Non di certi rapporti appiccicosi tra persone sposate o consacrate, che cercano compensazione a momenti di crisi dei propri legami, o della propria consacrazione a Dio. L’amicizia spirituale è quella confidenza tra persone serene ed adulte, in cui ci si aiuta a vicenda a non nascondersi dietro un dito, davanti alle proprie debolezze. Un vero amico nello Spirito è un fratello o una sorella che prega per te e ti dice con verità e con affetto i tuoi limiti, indicandoti quando ti avvicini ad un precipizio, anche se non sei disposto ad ammetterlo.

E’ quell’architetto che ti affianca nel costruire la torre di cui parla il vangelo, è il generale che ti consiglia nel programmare la battaglia.

Questo passaggio del sacramento della misericordia mostra la preziosità del fatto che la Chiesa non ci dice di confessarci direttamente a Dio, ma di farlo davanti ad un fratello che ha ricevuto lo Spirito Santo con l’ordinazione sacerdotale. Questo fratello al di là della grata del confessionale, deve essere l’amico spirituale che in quel momento Dio ci pone al fianco e come il profeta Natan deve aiutarci fare verità su noi stessi con delicatezza e carità.

Per questo è bene avere un confessore fisso, che poiché inizia a conoscerci, può aiutarci a guardare alle nostre fragilità ed incrinature consigliandoci con saggezza su come: evitare le occasioni prossime di peccato.  Per avere questo aiuto vale la pena di cercare un confessore saggio e la saggezza viene da due cose: dallo studio e dall’età. Un giovane che studia Dio e l’uomo con impegno ed umiltà, può essere un buon confessore. Un anziano sereno, che ha approfondito la conoscenza di Dio e dell’uomo con anni di ascolto e di preghiera, può essere anche più saggio. Non vorrei dare cattivi consigli, ma evitate i giovani superbi ed ignoranti ed i vecchi brontoloni.

Un buon consiglio dato dal confessore lo si riconosce guardando la faccia di chi lo riceve, è una faccia che diventa umile perché la verità umilia sempre un po’, ma che si mantiene serena, perché la verità ci fa guardare alla tentazione con meno paura e più speranza di farcela. Se uno esce con una faccia così dal confessionale sta facendo un’ottima pubblicità a quel confessore.

Dopo il consiglio sul confessore fisso, ne dò anche uno contrario. Qualche volta confessatevi anche da sconosciuti. Per imparare a crede che non è quel prete “speciale” che ti perdona, ma è Dio. Poi perché se nasce un pò di confidenza con il nostro confessore, potremmo vergognarci tantissimo di dire un peccato che brucia il nostro orgoglio ed in questo caso è meglio fare una vera confessione con un prete sconosciuto che tacere un peccato al nostro confessore abituale. Anche questo è evitare una occasione prossima di peccato.  Una volta perdonati e dopo avere vissuto almeno qualche giorno nel bene, se sentiamo che è utile, troveremo anche la forza di dire al confessore abituale che siamo stati assolti altrove da un peccato che forse è bene anche lui conosca, per poterci meglio consigliare.

La sapienza della Chiesa che nasce dallo studio e dalla vita è un tesoro prezioso che possiamo comunicarci tra noi. Per questo la Chiesa ci invita a vivere sempre la bellezza dell’incontro e della comunità.

Nel vangelo che abbiamo letto, i due esempi della guerra e del cantiere di lavoro sono due esempi di azione comunitaria, non si fa un cantiere da soli, nè da soli si combatte una battaglia. Così il progresso nella lotta contro il male trae grande aiuto dal sostegno della preghiera e dal consiglio dei fratelli. Chi si illude di essere un buon cristiano vivendo una vita solitaria e rifiutando tutte le occasioni e le proposte che la Chiesa ci fa di pregare insieme e di riflettere insieme sulla fede vuol vincere la guerra da solo e certo non andrà lontano.

Che il Signore vi doni di edificare la vostra casa spirituale e di vincere la battaglia contro il maligno.

 

 

 

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