Dalla seconda lettera di S.Paolo ai Corinzi (2Cor 5,14-15.17-19)
L’amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per sè stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro. Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione.
Formula dell’Assoluzione Sacramentale
Dio, Padre di misericordia,
che ha riconciliato a sé il mondo
nella morte e risurrezione del suo Figlio,
e ha effuso lo Spirito Santo
per la remissione dei peccati,
ti conceda, mediante il ministero della Chiesa,
il perdono e la pace.
E io ti assolvo dai tuoi peccati
nel + nome del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo.
LECTIO
In questa Lectio non siamo partiti solo da un brano di Parola di Dio, ma anche da un testo liturgico fortemente legato a questo brano: La formula dell’Assoluzione Sacramentale, le parole che dice il sacerdote per donarci il perdono. I testi liturgici non sono Parola di Dio, ma sono Parola Sacra, sempre ispirati dalla parola di Dio, sono preziosi per la vita di fede ed in qualche modo Dio ci parla anche attraverso queste parole della Chiesa. Un antico adagio latino dice: “lex orandi lex credendi”, cioè “il contenuto della preghiera è il contenuto della fede”, le parole che diciamo nella liturgia ci trasmettono ciò che Dio e la Chiesa ci insegnano a credere. Perciò cerchiamo di far una lettura attenta di questa formula liturgica, per comprendere cosa avviene per noi nel momento centrale del sacramento della misericordia, cioè attraverso l’assoluzione.
Prima di tutto queste parole sono precedute ed accompagnate, come accade spesso nei sacramenti, da un gesto altamente significativo che il celebrante compie sul penitente: gli impone le mani sul capo.
L’uso del confessionale, saggio per tanti altri motivi, potrebbe rendere meno evidente anche se non lo impedisce di certo, questo gesto che è così importante perché aiuta a capire cosa accade in quel momento. Forse è bene ricordare che imporre le mani non richiede di toccare il capo, anche nella cresima normalmente il Vescovo impone le mani senza toccare il capo dei singoli cresimandi.
L’imposizione delle mani è prima di tutto un gesto di missione. È lo stesso gesto che si compie ancora oggi nella ordinazione, è anche il gesto dell’invocazione dello Spirito, l’epiclesi, il gesto che il celebrante compie prima della consacrazione eucaristica, proprio quando il celebrante impone le mani sul pane e il vino invocando lo Spirito Santo perché li trasformi nel corpo e sangue di Cristo.
I significati di questo gesto che nella celebrazione del sacramento della misericordia si assommano sono perciò di invocazione dello Spirito Santo perché agisca con una trasformazione ed un nuovo invio a vivere da veri discepoli di Cristo nel mondo. Il vero protagonista del sacramento della confessione è lo Spirito santo, che come nell’eucarestia opera una trasformazione. Anche qui potremmo dire che si compie ciò che avviene nell’eucarestia ed in qualche modo nella ordinazione e nel battesimo, la cui pienezza è celebrata nella imposizione delle mani della cresima.
Al centro di tutto c’è il cristiano, un uomo che per virtù dello Spirito Santo diventa nel battesimo “figlio di Dio, nell’unione al Figlio unigenito del Padre, Gesù”. Lo Spirito Santo nel battesimo ci rende figli nel Figlio, la nostra carne ed il nostro sangue diventano presenza di Gesù nel mondo perché dove c’è un cristiano c’è Cristo. Dove c’è un cristiano c’è un figlio di Dio, che opera per la santificazione e la salvezza del mondo, portando avanti la missione di Gesù. “Andate” dice il Signore ai suoi discepoli che invia in missione, “chi accoglie voi, accoglie me”(Mt 10,40).
Quando pecchiamo la nostra unione con Gesù si incrina, non somigliamo più al Figlio amato dal Padre, la nostra collaborazione con Lui alla salvezza del mondo si indebolisce, la grazia del Battesimo viene ferita. Allora l’Assoluzione ci restaura nella condizione di piena comunione con Dio in Cristo, recuperiamo la nostra missione di fratelli del Figlio Unigenito, chiamati e resi capaci di portare avanti nella storia la sua missione di salvezza.
Come crediamo che le parole della Consacrazione nella Messa hanno un effetto reale di trasformazione sul pane ed il vino, così crediamo che le parole della assoluzione hanno un effetto reale di trasformazione del penitente. Se è possibile che quel pane diventi il corpo di Cristo, è anche possibile che quel corpo umano diventi nuova e piena presenza di un figlio di Dio, un fratello in Cristo inviato per la salvezza del mondo; è lo stesso principio sacramentale.
L’Assoluzione quindi, come rendono chiaro le parole che ora esamineremo, non è solo un cancellare il passato, ma un operare una nuova creazione in noi, come dice S.Paolo: “Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove”.
L’Assoluzione compie il nuovo “Battesimo delle lacrime”, come lo chiamano i Padri della Chiesa ed in particolare san Giovanni Climaco nel settimo gradino della sua “Scala del Paradiso”.
Mentre impone le mani il celebrante dice: Dio, Padre di misericordia, che ha riconciliato a sé il mondo nella morte e risurrezione del suo Figlio e ha effuso lo Spirito Santo per la remissione dei peccati, ti conceda mediante il ministero della Chiesa il perdono e la pace”.
Notiamo il riferimento trinitario: Dio Padre, per mezzo del Figlio, ha effuso lo Spirito Santo. Tutta intera la Trinità si rapporta a te mediante il ministero della Chiesa: concretamente il prete, lì presente, sta facendo da mediatore perché si compia in te l’azione stessa della Trinità. Il Padre della misericordia ha mandato il Figlio, che con la sua passione ha riconciliato a sé il mondo, ha fatto la pace con l’uomo, riconosciuto figlio adottivo di Dio come dice S. Paolo e ha donato all’umanità il suo Spirito, che ci ha permesso di ritornare ad essere in buona relazione con Dio.
“Per mezzo della morte e risurrezione del Figlio”: è qui richiamato l’evento fondamentale della salvezza. Ma morte e risurrezione di Cristo non diventano la nostra stessa realtà nel battesimo? Il battesimo è infatti la nostra partecipazione alla morte e risurrezione di Cristo e l’eucaristia non è forse il memoriale della morte e risurrezione del Signore? Il Sacramento della Penitenza in altro modo celebra e attualizza proprio la morte e risurrezione del Signore e non viene dimenticato lo Spirito Santo che è stato effuso per la remissione dei peccati. Con l’Assoluzione siamo posti al cuore dell’amore della Trinità, nel centro della storia della salvezza, è davvero un abbraccio in cui tutto il mistero dell’amore misericordioso di Dio ci avvolge.
Il celebrante nella Assoluzione è ben cosciente di essere al centro di una cosa tanto più grande di lui, per questo il tono delle sue parole è una preghiera: “Dio ti conceda il perdono e la pace”.
È un augurio che il sacerdote che ti fa con tutto il cuore. Cioè l’intera Chiesa, da lui rappresentata, si mette nell’atteggiamento della preghiera, riconoscendo che non è da sé che trae questo grande potere di perdonare e riconciliare con Dio.
Lo ricorda con chiarezza S. Agostino quando commentando la frase che il Battista dice indicando Gesù: “E’ lui quello che battezza nello Spirito Santo (Gv 1, 33)”. Continua dicendo: “Battezzi pure Pietro, è Cristo che battezza; battezzi Paolo, è Cristo che battezza; e battezzi anche Giuda, è Cristo che battezza” (S.Agostino omelie su Giovanni VI).
Nei sacramenti, attraverso i ministri della Chiesa, è sempre Cristo che opera, per questo il sacerdote può dire “Io, ti assolvo”. In quell’IO si realizza il cuore della sua ordinazione sacerdotale, in cui il prete offre tutta la sua persona a Cristo, perché il Signore Gesù possa operare, nella celebrazione dei sacramenti, attraverso la persona dello stesso sacerdote.
Lo insegna una antica formula latina, che definisce l’azione sacramentale del sacerdote: “in persona Christi agere”, da intendere secondo una bella spiegazione di papa Benedetto così: “Il sacerdote che agisce in persona Christi Capitis e in rappresentanza del Signore, non agisce mai in nome di un assente, ma nella Persona stessa di Cristo Risorto, che si rende presente con la sua azione realmente efficace. Agisce realmente e realizza ciò che il sacerdote non potrebbe fare: la consacrazione del vino e del pane perché siano realmente presenza del Signore, l’assoluzione dei peccati. Il Signore rende presente la sua propria azione nella persona che compie tali gesti”.
Quando sentiamo le parole “Io ti assolvo”, abbiamo davanti un fratello sacerdote che potrebbe essere anche più peccatore di noi, potrebbe essere addirittura Giuda, insegna S. Agostino, ma attraverso la sua persona è Gesù stesso che ci perdona.
Se rafforziamo questa fede comprendiamo bene perché la formula non parli solo di perdono, ma anche di pace. Questo è il dono che, secondo il vangelo, Gesù risorto donava sempre a quanti si incontravano con Lui. La confessione compie un tale incontro col Risorto, che ci rende nuove creature, rinnovando in noi la grazia adottiva del battesimo.
Infatti la formula “Io ti assolvo nel nome della Trinità” assomiglia fortemente solo a un altro sacramento, al battesimo: “Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”. Nessun altro sacramento ha la formula impostata in questo modo e dunque il richiamo degli elementi essenziali del battesimo e della penitenza ci mostrano la loro somiglianza, sia per il riferimento alla morte e risurrezione di Gesù, sia per la dinamica che in essi avviene. Lì il celebrante dice: “Io ti battezzo”, qui il celebrante ripete: “Io ti assolvo”. Ecco perché possiamo davvero parlare di una ripresa continuata e cosciente del battesimo.
Il senso più vero del sacramento della misericordia è tutto in questo legame col battesimo che si rinnova.
Nella tradizione Bizantina si mette ancor più chiaramente in luce che è Cristo che perdona, perché tutta la formula ha le caratteristiche di una invocazione, una preghiera rivola dalla Chiesa a Dio in Cristo perchè Egli agisca piuttosto che una dichiarazione, come per noi cattolici. Dice infatti: “Il Dio che attraverso il profeta Natan ha perdonato a Davide quando confessò i propri peccati e a Pietro quando pianse amaramente e alla peccatrice quando versò lacrime sui suoi piedi e al fariseo e al prodigo, questo stesso Dio ti perdoni, attraverso di me peccatore, in questa vita e nell’altra e non ti condanni quando apparirai al suo tremendo tribunale, Egli che è Benedetto nei secoli dei secoli. Amen”. In questa formula oltre il protagonismo divino, si mette maggiormente in luce come la parola di Dio con i suoi esempi ci insegni la via della piena fiducia nella potenza della misericordia di Dio, quando incontra un vero pentimento.
Potremmo sintetizzare la nostra riflessione con le parole della introduzione al sacramento nel nuovo Rituale della Penitenza.
“La formula dell’assoluzione indica che la riconciliazione del penitente viene dalla misericordia del Padre; fa vedere il nesso fra la riconciliazione del penitente e il mistero pasquale di Cristo; sottolinea l’azione dello Spirito Santo nella remissione dei peccati; mette in luce infine l’aspetto ecclesiale del sacramento per il fatto che la riconciliazione con Dio viene richiesta e concessa mediante il ministero della Chiesa”.
La formula che stiamo meditando è costruita tutta con parole della scrittura. Infatti “Dio padre di misericordia” viene dall’inizio di 2Cor 1,3
“Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio”.
La consolazione del perdono, sorgente della pace, che la Chiesa attraverso il sacerdote dona al penitente giunge tutta da Dio, solo perchè la riceviamo da Lui possiamo donarla agli altri. La misericordia emana da Dio come da una fonte e ritrova in Dio la sua verità ed autenticità, solo imitando Lui potremo essere misericordiosi.
Possiamo concludere la nostra riflessione riguardo al tema della Assoluzione e del protagonismo di Cristo, al quale il sacerdote presta la sua persona perché il fratello penitente possa ricevere la grazia del perdono, ricordando un fatto importante della celebrazione della confessione. Il sacerdote è tenuto a rispettare assolutamente, per tutta la vita ed anche a rischio della sua stessa vita, il segreto assoluto su quanto ha saputo in confessione. Questo impegno sacro, chi lo violasse fa un peccato di tale gravità che per ottenere il perdono deve ricorrere al Papa. Questa serietà assoluta si collega chiaramente con quanto abbiamo detto. E’ Cristo che assolve, perciò è Cristo che sa ciò che il penitente ha detto. Se il confessore facesse un qualsiasi uso di quello che ha saputo nella confessione non si comporterebbe come uno che ha offerto la sua persona a Cristo, ma come uno che si è servito di Cristo, per sapere cose che usa come conoscenze proprie. Questo ci può aiutare a riflettere, sia confessori che penitenti, sul grande valore spirituale del segreto della confessione.
Il brano biblico che può guidare i confessori sono le parole di Giovanni Battista: entrando in confessionale ogni confessore dovrebbe dire nel suo cuore: “Ora Lui deve crescere ed io diminuire” (Gv 3,30). I grandi confessori rendevano le persone capaci di essere profondamente sincere e di sentirsi poi in pace per aver ricevuto davvero il perdono. Il loro segreto era che si sentivano di aver confessato a Cristo i loro peccati ed aver ricevuto direttamente da Lui il perdono. Il più grande confessore è perciò quello che sa sparire, diventando trasparenza della presenza di Gesù Signore.