Il Sacramento della Misericordia – 6° Quaresimale

Soddisfazione o Penitenza
14-03-2016

+ Dal Vangelo secondo Giovanni (21,15-19)

In quel tempo, [quando si fu manifestato ai discepoli ed] essi ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli».

Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore».

Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse “Mi vuoi bene?”, e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi».

Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

LA SODDISFAZIONE SACRAMENTALE O PENITENZA

Il sistema con cui la Chiesa dei primi secoli perdonava i peccati commessi dopo il battesimo privilegiava l’idea di “Cammino penitenziale”. Si trattava di un vero e proprio itinerario, che il penitente compiva sotto la guida della Chiesa ed in forma pubblica. Come per prepararsi al battesimo, che si riceveva da adulti, c’era un cammino di preparazione per tappe e disteso di solito in qualche anno, il cammino catecumenale; così per celebrare il battesimo delle lacrime, cioè la penitenza, celebrazione piuttosto rara che si faceva solo in caso di peccati molto gravi, si rifaceva una specie di nuovo catecumenato.

Il penitente entrava in un gruppo pubblico di penitenti, che per vari mesi dopo avere chiesto il perdono si preparavano a riceverlo, attraverso un impegno speciale di preghiera e carità. Se infatti il peccato, che é sempre contro Dio e contro i fratelli, opera una chiusura del cuore del peccatore a Dio ed agli altri, sembra saggio un percorso di guarigione di questo cuore, che deve di nuovo imparare ad amare.

E’ lo stesso vangelo che insegna questo percorso narrando nei Sinottici ed in Giovanni la storia del rinnegamento di Pietro. Luca ricordando il canto del gallo e soprattutto lo sguardo di Gesù, ci fa conoscere l’inizio del cammino penitenziale di Pietro.

 

 

E in quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte». E, uscito, pianse amaramente. (Lc 22,60b-62)

Ne abbiamo già parlato mostrando anche come il pentimento di Pietro nasce soprattutto dopo che lo sguardo di Gesù insieme gli fa riconoscere il suo peccato, ma gli fa anche sentire tutta la misericordia con cui il Maestro lo chiama al pentimento e gli offre il perdono.

“Lo sguardo di Gesù – ha insegnato in una catechesi Papa Francesco – non è qualcosa di magico: Gesù non era uno specialista in ipnosi. Gesù guardava ognuno, e ognuno si sentiva guardato da Lui, come se Gesù dicesse il nome … E questo sguardo cambiava la vita, a tutti. Così ha cambiato Pietro, che dopo averlo rinnegato incontra il suo sguardo e piange amaramente”.

Il brano di Giovanni 21 che stiamo meditando narra una tappa significativa dell’itinerario penitenziale di Pietro. Prima c’è il peccato, con cui Pietro rinnega il suo maestro, poi c’è il perdono che Gesù gli dona con il suo sguardo di misericordia, infine c’è l’ultima parte dell’itinerario che il Signore gli fa compiere, con la cura per guarire il suo cuore dalle conseguenze del peccato.

Mentre nella Chiesa primitiva tra il peccato ed il perdono c’era il tempo della penitenza, dalla cura per la guarigione del cuore, nel vangelo il perdono viene subito, è sempre generoso, gratuito, dato appena viene domandato anche se per motivi un pò interessati, come nel caso del Figlio Prodigo. O addirittura offerto prima che sia chiesto, come per Pietro, o per Zaccheo a cui Gesù dicendo “scendi subito perchè oggi devo fermarmi a casa tua” offre un perdono non domandato ed una amicizia neppure sperata.

La Chiesa proprio per una maggiore aderenza al Vangelo, perché non sembrasse che il perdono era pagato o guadagnato dal penitente con la sua penitenza, dopo i primi secoli ha deciso di posporre la penitenza alla assoluzione, rendendola sempre più chiaramente un percorso di guarigione del cuore e non di “pagamento” della colpa. Oggi come nel Vangelo il percorso è perciò: peccato, perdono, cura del cuore.

Il Catechismo fin dal Concilio di Trento insegna infatti che l’assoluzione perdona il peccato. La penitenza seguente, se non viene fatta, non fa tornare in vita il peccato precedente, che non esiste più, ma è da considerare un nuovo peccato di ingratitudine, perchè il cammino di guarigione del cuore che ci era stato indicato, non è stato accolto, nonostante il perdono generoso che avevamo già ricevuto.

Per questo la “penitenza” o “soddisfazione”, che potremmo chiamare meglio “penitenza medicinale”, per lo più è un invito a pregare, per restaurare la capacità del nostro cuore di amare Dio, oppure un’opera di misericordia, per restaurare la capacità del nostro cuore di amare il prossimo.

Questa azione medicinale è ben narrata nel vangelo di Giovanni appena letto.

 

Pietro per tre volte aveva giurato di non conoscere Gesù. Per tre volte ora Pietro è chiamato a riaffermare la propria fede, a ridire la propria appartenenza al Maestro. Pensava di essere cresciuto, Simone, di essere saldo: era questa la ragione per cui il Signore lo aveva chiamato a diventare responsabile dei fratelli. E, invece, davanti alla croce era fuggito come un coniglio, aveva negato davanti ad una serva di essere uno dei discepoli. Ora, dopo molte settimane, Pietro è ancora separato dal Risorto. Lo ha incontrato, certo, ma il suo cuore è gonfio e pesante. È come se la resurrezione non lo riguardasse più. È tornato a pescare, nulla più lo scalfisce: è stato perdonato, ma il suo cuore non è guarito. Non crede più di esser capace di amare Gesù più degli altri e quindi di poter riprendere il suo posto di Guida della Chiesa. Non si crede neppure capace di essere un discepolo, che semplicemente segue il suo Maestro.

E Gesù che sa tutto, che conosce il nostro cuore, lo guida a fare un cammino di guarigione dopo il perdono generoso che gli ha subito donato. Pietro deve sentire che il perdono è più grande del peccato. Per questo se per tre volte ha rinnegato, per tre volte deve sentirsi dire: “pasci”. Cioè: “sei ancora tu il pastore che io ho scelto”. E se Pietro non osa dire: “ti amo”, ma si limita ad un “ti voglio bene” è perché ormai conosce e riconosce la sua fragilità ed ha timore di non sfuggire alle prossime occasioni di peccato. Gesù perciò abbassa la sua richiesta, non gli dice più: “mi ami?”, ma domanda solo: “mi vuoi bene?” Perché Pietro sappia che il perdono di Dio non si riesce mai a meritarlo del tutto, ma sempre lo si riceve come dono generoso. Solo a questo punto il cuore di Pietro è guarito e Gesù può dirgli: “seguimi!”.

Questo testo colloca l’itinerario di guarigione del cuore dopo l’assoluzione, nel suo giusto e pieno significato. Prima di tutto il cuore guarisce ripetendo a Gesù che lo amiamo e lasciando che questa ripetizione rafforzi il nostro desiderio. È questa l’immagine più chiara di cosa sia la preghiera cristiana. Quando in una coppia ci si chiede: “dimmi che mi ami”, non è perché non siamo convinto di ciò, ma perché sentiamo che ripetere una dichiarazione d’amore fa bene al cuore e rafforza il suo desiderio di amare. Questo è pregare. Per questo si può pregare ripetendo sempre le stesse parole, perché l’unica cosa da dire a Dio è: “Ti amo e vorrei amarti sempre di più”. Quando il sacerdote ti impartisce come penitenza medicinale un impegno di preghiera, segue questo esempio di Gesù, il grande medico delle anime.

Poi Pietro, che ha scandalizzato i fratelli con il suo tradimento è chiamato a pascerli, cioè a guidarli dietro a Gesù, con atti d’amore concreti, attenti alle persone concrete: prima “pasci i miei agnelli”, poi “pasci le mie pecore”. Soprattutto a guidarli col suo esempio di discepolo che riprende a seguire Gesù con piena fiducia “Signore tu sai tutto” e con tutto il cuore “Seguimi”. Quando il confessore propone come penitenza medicinale un’opera di misericordia spirituale o corporale, continua ancora a seguire l’esempio di Gesù.

Questa tappa conclusiva del sacramento della misericordia è purtroppo sottovalutata spesso, sia dai confessori che dai penitenti.

I confessori spesso, temono che il penitente si fissi sulle caratteristiche della penitenza proposta, confondendola con “un pagamento” per chiudere in pareggio i conti con Dio, e questo sarebbe un grave danno, perchè porterebbe a credersi buoni, a credersi a posto. Proprio per evitare questo cercano di dare poco risalto alla penitenza, soprattutto se sono davanti ad un penitente scrupoloso.

Se questo timore è saggio, il confessore deve tuttavia non perdere questa seria occasione di indicare un percorso di guarigione del cuore. Il proposito di non commetterne più è legato in maniera non piccola alla saggezza del percorso indicato dal confessore ed alla fedeltà con cui il penitente lo vive.

Credo poi sia saggio, come ci ha incoraggiato il Papa, ricuperare a questo livello la pratica delle opere di misericordia spirituali e corporali. Sono davvero la farmacia dello Spirito, con cui curare le malattie dei cuori egoisti e chiusi in sé stessi, per le ferite e le cicatrici che il peccato lascia sempre, nonostante la potenza del perdono di Dio che ci salva e ci rinnova.

Credo che molti ascoltando abbiano pensato alla indulgenza giubilare, che è proprio una grande medicina dello spirito che opera come la penitenza sacramentale e ne potenzia e rafforza l’efficacia.

Vale forse la pena di spiegarla qui in conclusione della nostra meditazione usando la stessa immagine della guarigione fisica. Se infatti l’assoluzione ci perdona la colpa e la penitenza ci cura dalle conseguenze del peccato, l’indulgenza giubilare opera una cura ancora più forte e radicale. Nella Chiesa primitiva il tempo della penitenza era commisurato ai peccati commessi e per dei peccati gravi poteva essere molto lungo. Ma questo tempo poteva essere accorciato se altri fratelli si impegnavano a sostenere con la loro preghiera i penitenti. Soprattutto quando i martiri offrivano la loro vita per i fratelli della comunità credente. Per questo visitare le tombe dei martiri chiedendo la loro intercessione poteva accorciare il tempo della penitenza. Ugualmente vivere una particolare esperienza di carità e di preghiera per i bisognosi. Infatti la Chiesa ha sempre creduto nella Comunione dei santi, cioè nel fatto che tutti i credenti sono tra loro veri fratelli ed io posso donare al mio fratello bisognoso non solo le mie ricchezze materiali, ma anche quelle spirituali. Il martire, donando la sua vita a Cristo, diventava così ricco di beni spirituali con cui poter beneficare tanti fratelli bisognosi di curare il loro cuore reso egoista dal peccato. Così il povero e l’ammalato, particolarmente amati da Dio, riversavano questo amore in quanti li beneficavano con i loro beni, perchè se erano poveri di ricchezze materiali, erano però ricchi di ricchezze spirituali per la loro maggiore somiglianza a Gesù, povero, umile e sofferente.

La Chiesa si trovò ben presto ad affrontare una domanda delicata: se un cristiano moriva prima di avere terminato il tempo della sua penitenza pubblica, cosa sarebbe accaduto di Lui? Ci si convinse, alla luce della parola evangelica sulla misericordia generosa del Padre, che Dio lo avrebbe certo perdonato, ma per la stessa dignità della persona, che certo Dio rispetta perché ci ama, ci si convinse che Dio avrebbe trovato il modo di fargli completare in cielo il suo tempo penitenziale, prima di ammetterlo in paradiso. Da questa convinzione è nata la riflessione sul Purgatorio, come “un tempo” di attesa penitenziale prima di entrare nella pienezza della gloria. Anche su questo “tempo” si fu da subito sicuri che, per la comunione dei santi, la preghiera dei fratelli e le loro opere di carità fatte per un defunto, potevano “accorciare” questo tempo. Ecco come si svilupparono la preghiera e le azioni di carità in suffragio per le anime del purgatorio. Vivere il Giubileo è perciò vivere il dono di poter celebrare una confessione seguita da una soddisfazione o penitenza particolarmente efficace per curare i nostri cuori feriti dal peccato perché tutte le ricchezze spirituali della Chiesa ci sono offerte con straordinaria generosità. Non perdiamo questa preziosa occasione.

 

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