Lectio Divina – Convegno Pastorale Diocesano

La Chiesa nasce da tanti doni dello Spirito
16-06-2016

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (12,1-14. 27-31)

1 Riguardo ai doni dello Spirito, fratelli, non voglio che restiate nell’ignoranza. 2 Voi sapete infatti che, quando eravate pagani, vi lasciavate trascinare verso gli idoli muti secondo l’impulso del momento. 3 Ebbene, io vi dichiaro: come nessuno che parli sotto l’azione dello Spirito di Dio può dire “Gesù è anàtema”, così nessuno può dire “Gesù è Signore” se non sotto l’azione dello Spirito Santo.

4 Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; 5 vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; 6 vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. 7 E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l`utilità comune: 8 a uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza; 9 a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far guarigioni per mezzo dell`unico Spirito; 10 a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere gli spiriti; a un altro le varietà delle lingue; a un altro infine l`interpretazione delle lingue. 11 Ma tutte queste cose è l’unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole.

12 Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. 13 E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito. 14 Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra.

27 Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte. 28 Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi vengono i miracoli, poi i doni di far guarigioni, i doni di assistenza, di governare, delle lingue. 29 Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti operatori di miracoli? 30 Tutti possiedono doni di far guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano? 31Aspirate ai carismi più grandi! E io vi mostrerò una via migliore di tutte.

INTRODUZIONE

Il brano che abbiamo letto si inserisce nel contesto più ampio dei capitoli da 12 a 14 nei quali Paolo intende correggere un comportamento non adeguato dei corinzi durante la celebrazione del culto. I corinzi erano decisamente affascinati da tutti quei “doni dello spirito” (12,1) che noi chiameremmo “carismatici”, e soprattutto da alcuni di essi, come il cosiddetto “dono delle lingue”. Prima di affrontare direttamente la questione (14,1-40), in questa prima parte della sua argomentazione (12,1-31), l’apostolo cerca di chiarire e inquadrare la problematica all’interno della più vasta riflessione sulla realtà e il significato dei doni dello Spirito all’interno della vita della Chiesa, corpo di Cristo e di come questi doni possono contribuire alla crescita ed alla maturazione della comunità.

Data per scontata la loro positività, e ricordati brevemente quali siano i criteri per il loro discernimento (12,1-3), Paolo sottolinea con forza, contro la preferenza accordata dai Corinzi solo ad alcuni di essi, la necessità di una adeguata e sana diversità dei doni, così che questi possano svolgere il loro compito, quello di strumenti della potenza dello Spirito, predisposti per l’edificazione e lo sviluppo di tutta la comunità, in maniera organica ed efficace.

Struttura

Introduzione – 12,1-3: il criterio: ciò che viene dallo Spirito riconosce Gesù come il Signore

Argomentazione – 12,4-31: la diversità nell’unità organica dei carismi

12,4-11: la diversità nell’unità è una delle caratteristiche di Dio

12,12-14: l’esempio del corpo: dall’unità alla diversità

(12,15-26: l’esempio del corpo: ulteriore esemplificazione)

12,27-31: la diversità dei carismi nell’unità una caratteristica della Chiesa

12,1-3: il criterio: ciò che viene dallo Spirito riconosce Gesù come il Signore

Con questa breve introduzione Paolo intende porre il fondamento della sua riflessione successiva. Ricordando ai Corinzi il loro passato pagano, egli mette in evidenza la differenza fondamentale tra l’esperienza religiosa di un tempo e quella attuale.

Voi sapete infatti che, quando eravate pagani, vi lasciavate trascinare verso gli idoli muti secondo l’impulso del momento.

Era una religiosità istintiva, intuitiva, emotiva ed episodica, che li legava agli idoli. Ora invece una vera esperienza dello Spirito non è una qualunque espressione estatica o esaltata, ma solo ciò che segue e conferma la fede trasmessa dagli apostoli.

Non ogni manifestazione di tipo estatico o esaltato, istintivo e emotivo può essere considerata come vera esperienza dello Spirito.

Nessuno che parli sotto l’azione dello Spirito di Dio può dire “Gesù è anàtema”.

Ad esempio una forma di esaltazione estatica che porti ad una fede che escluda Gesù non può mai essere frutto dello Spirito.

Così nessuno può dire “Gesù è Signore” se non sotto l’azione dello Spirito Santo.

Questa espressione, invece, è una sintesi meravigliosamente concentrata della fede cristiana: riconosce l’uomo Gesù come il Messia, Figlio di Dio e Signore insieme a Dio. Gesù è il Signore della mia vita, questo è il cuore della fede e la molla di ogni vera azione.

Questa idea è però sicuramente scioccante sia per il giudeo (che non oserebbe mai unire il termine “Signore” ad un uomo) che per il greco (per il quale l’espressione risulta incomprensibile nella sua assolutezza, dal momento che nella sua religiosità egli conosce molti “Signori”). Il principio è chiaro: i doni spirituali vanno confrontati con sapienza con ciò che della fede insegna la tradizione apostolica a partire dal kerigma, dal centro della fede. E’ quanto dice anche Papa Francesco nella EG. Questa forma del kerigma è efficace: Gesù è il Signore del mondo e della mia vita. A partire da questo si valuta ogni cosa, anche veri e falsi carismi.

Poi Paolo analizza il fatto che non solo debbono essere veri carismi, ma devono unificarsi nella diversità, devono costruire la comunione ecclesiale. Gesù è il Signore e vuole la Chiesa unita grazie ai doni dello Spirito.

12,4-31: la diversità nell’unità organica dei carismi

12,4-11: la diversità nell’unità è una delle caratteristiche di Dio

  1. 4-6: Dio che è Uno nella diversità e relazione di Spirito (Spirito Santo) / Signore (Figlio) / Dio (Padre) è l’origine di ogni dono spirituale. Egli agisce, dunque, secondo la sua natura, cioè dispiegandosi secondo la diversità delle sue persone nell’unità del suo essere. Da qui la ricchezza inesauribile dei doni, nell’unità dell’origine, del significato e del fine.

I termini chiave del ragionamento paolino sono:

Carismi.

Il termine è tipicamente paolino (delle 17 volte che compare nel Nuovo Testamento ben 16 è utilizzato da Paolo nelle sue lettere) e serve a sottolineare l’idea di qualcosa che viene concesso in maniera libera e gratuita. Perciò nessuno si vanti di doni che ha ricevuto gratis.

Ministeri.

Il termine (nell’originale “diaconia”) serve a sottolineare l’aspetto del servizio: i doni sono offerti perché vengano utilizzati a servizio della comunità, non come un possesso privato.

Operazioni.

Il termine serve a mettere in evidenza il prodotto e l’effetto diversificato e armonico dei diversi doni. Sono doni conferiti per un’azione efficace e concreta.

 

  1. 7: qui sta la tesi di fondo di tutta questa sezione: lo Spirito offre a ciascuno un dono particolare perché tutta la comunità ne possa concretamente beneficiare. L’azione spirituale non è evanescente e fragile, ma concreta ed efficace.

A ciascuno.

Paolo non intende dire che necessariamente tutti coloro che partecipano alla comunità di Corinto posseggano un dono specifico, quanto, piuttosto, mettere in evidenza la singolarità del tutto irripetibile di ogni singolo dono. La chiesa non nasce da singoli intercambiabili, come i soldati semplici di un esercito, ma da persone uniche e concrete, rese tali dalla loro storia di fede.

Manifestazione dello Spirito.

Ogni dono è una rivelazione dello Spirito.

Per l’utilità comune.

I doni non sono per il singolo, che ne è solo l’amministratore, ma per il bene comune di tutta la Chiesa. Questa visione è agli antipodi del sensazionalismo ed esasperato individualismo del mondo di oggi, per cui è più difficile da realizzare di quanto sembri. Di fatto tutto ci spinge in direzione contraria.

  1. 8-10: l’elenco dei doni non è in alcun modo esaustivo, ma solo indicativo: non a caso gli altri elenchi (vv. 28-30 e anche 13,1-3.8; 14,6.26) non corrispondono perfettamente, sintomo chiaro del fatto che le enumerazioni sono proposte a motivo di esempio, per far comprendere le caratteristiche fondamentali di una comunità matura.

Ecco i 9 doni:

Il linguaggio della sapienza; il linguaggio di scienza.

Con abile, ma in fondo semplicissima mossa, Paolo ricorda ai Corinzi che le caratteristiche da loro tanto amate nelle guide spirituali, la sapienza e la scienza, non si identificano nelle capacità umane del singolo, ma sono un dono dello Spirito, analogo a quello della profezia. Così coloro che ne sono investiti possono aiutare tutta la comunità a riconoscere nel mistero pasquale del Signore Gesù il centro e il senso della fede cristiana, questa è la vera sapienza!

La fede.

Come ci aiuta a comprendere l’Inno alla Carità di 13,2, (“se possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne”) questo dono è soprattutto la capacità data da Dio di mantenere la fiducia anche in situazioni molto difficili e avverse. Quando una montagna sbarra la strada e non ti fa andare avanti nella via del bene.

Il dono di far guarigioni, il potere dei miracoli.

Secondo la rivelazione biblica, la possibilità di compiere gesti i cui effetti superano le capacità naturali dell’uomo è uno dei segni della presenza attiva di Dio e del suo Regno. Gesù invita i suoi discepoli a veder ciò che è davvero importante: non gli eventi eclatanti, ma ciò che significano, cioè che Dio ci è vicino per salvarci.

Il dono della profezia, il dono di distinguere gli spiriti.

Il profeta è nella tradizione biblica non è tanto colui che prevede il futuro (anche se questo aspetto non è escluso), quanto piuttosto colui che parla autorevolmente in nome di Dio. In che cosa consisteva questa “profezia” nel caso delle prime comunità? Alla luce di 14,29-33, si trattava essenzialmente di un messaggio spontaneo e ben comprensibile, ispirato dallo Spirito, proclamato oralmente e destinato a incoraggiare o edificare la comunità. Collegato a questo è però il dono del “distinguere”, indispensabile per riconoscere e discernere il valore e il significato dei messaggi “profetici”. E’ significativo che questi doni sono fatti a persone diverse, perché è solo l’unità dei carismi vissuta entro una comunità unita e solidale che porta salvezza. Vedere i segni dei tempi e comprenderne il vero significato è una operazione da fera assieme. Anche la lettura della Parola di Dio, parola profetica, ha bisogno di questo confronto comunitario.

Le varietà delle lingue, l’interpretazione delle lingue.

Questo è il tema che sta più a cuore a Paolo. In cosa consisteva la “glossolalia” o “dono delle lingue” e il carisma collegato dell’“interpretazione delle lingue”?

  1. come testimonia 14,2.5, entrambi i “carismi” erano sicuramente percepiti come un dono “dello Spirito”, non semplicemente una realtà di esaltazione religiosa;
  2. come testimonia 14,27-28, non si manifestava in una forma scomposta o estatica: gli oratori dovevano attendere il loro turno e magari rinunciare in caso di mancanza di una interpretazione del loro discorso;
  3. secondo 14,14.16, ciò che l’oratore proponeva era comprensibile per sé e per gli altri;
  4. secondo 14,2.4-5.28, il contenuto era di natura spirituale, una rivelazione su Dio;
  5. secondo 14,5.13.27-28, le due figure di “oratore in lingue” e di “interprete delle lingue” potevano coincidere o meno.

Anche questa lettura testimonia che ciò che prende risalto è la crescita spirituale di una comunità unita, non l’emozione o tanto meno la stranezza del dono.

 

  1. 11: Distribuendole a ciascuno come vuole. La sottolineatura in questa sintesi finale della breve sezione è sicuramente sulla potenza sovrana dello Spirito, che agisce secondo il suo disegno senza ostacoli o limitazioni. Gesù è davvero il Signore ed opera con piena signoria attraverso il suo spirito.

12,12-14: l’esempio del corpo: dall’unità alla diversità

Il corpo umano e il corpo che è la Chiesa hanno una analoga strutturazione organica: nell’uno e nell’altro l’unità sostanziale degli elementi si coniuga ad una loro differenziazione funzionale al bene del corpo stesso. L’esempio è antico, ogni società funziona così, tanto che si parla di corpo sociale. La diversità ha la funzione di accrescere le potenzialità del corpo e, quindi, di renderlo capace di affrontare le diverse situazioni della vita. Certamente ciò che Paolo non intende affrontare in questo contesto è una riflessione sulla natura del corpo mistico della Chiesa: il suo intento è, più semplicemente, indicare l’importanza di una sana diversità di doni e carismi all’interno della comunità.

Così anche Cristo.

Qui l’espressione sembra essere una abbreviazione per “corpo di Cristo”. Così è anche la chiesa che lo spirito edifica come corpo di Cristo.

E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito.

Ma come è stato possibile che i credenti divenissero un sol corpo in Cristo? Attraverso l’azione dello Spirito Santo, che Paolo descrive con due immagini legate al mondo dell’acqua:

l’immersione, “battezzare” significa questo primariamente. Il credente così è colui fa esperienza dello Spirito come una forza nella quale immergersi per venirne trasformati e rinnovati;

l’abbeverarsi: il credente è colui che fa esperienza dello Spirito come colui che sazia ogni desiderio e ogni ricerca e guarisce ogni malattia e ogni debolezza.

Ma qui l’intento di Paolo è soprattutto di mettere in evidenza come l’unità dei credenti derivi non tanto dall’identità dei gesti della fede, che spesso possono essere anche diversi nelle diverse tradizioni, ma essenzialmente dal fatto che questi gesti sono opera di un solo e medesimo agente, lo Spirito.

L’unità della Chiesa è possibile solo se lasciamo che operi Colui che ne è all’origine, lo Spirito, e non attraverso i nostri poveri mezzi umani, di qualunque genere essi siano. L’unità della Chiesa è soprannaturale e non emotiva, non è l’aggregazione spontanea di alcuni amici. Non la si cementa con cene e feste, ma con la preghiera.

 

12,15-26: l’esempio del corpo: esemplificazione

Per chiarire bene il suo pensiero, Paolo lo ripete sviluppando un lungo esempio nel quale intende sottolineare come nessuno nella Chiesa può indebitamente sopravvalutare il proprio carisma e il proprio compito, pena il distruggersi della stessa comunità.

Se l’insegnamento è chiaro e diretto, la sua comprensione e messa in pratica sono spesso più difficili del previsto, perché richiedono da ognuno umiltà personale e fiducia sincera nei fratelli che ci sono accanto. La stima reciproca, la sospensione di ogni giudizio, il dare tempo e fiducia all’azione degli altri, non sono facili da vivere come può sembrare a prima vista.

12,27-31: ancora una volta: la diversità dei carismi nell’unità della Chiesa

In questi versetti finali Paolo riprende il tema già sopra enunciato: nella Chiesa la diversità dei doni è una necessità che serve a costruire la comunità.

Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte.

L’unità della comunità si struttura in una organica integrazione tra le diversità e i carismi di tutti.

Infine ecco una seconda lista di 9 realtà che Dio offre alla sua Chiesa.

Questa seconda lista è decisamente più composita:

  1. i primi 3 sono riferimenti a ministeri che indicano un compito di guida all’interno della comunità:

Apostoli: qui Paolo indica non solo i Dodici, ma tutti coloro che hanno un ruolo nella fondazione delle varie comunità;

Profeti: come detto sopra i profeti leggono i segni dei tempi con la luce dello Spirito e ne fanno saggio discernimento.

Maestri: dal momento che qui abbiamo solo il nome, non possiamo dire molto a proposito di questo ministero, che potremmo accostare ai catechisti che fanno conoscere la fede;

  1. ci sono poi 2 carismi in senso stretto (vedi sopra): i miracoli e i doni di far guarigioni
  2. seguono doni di assistenza e i doni di governare. 2 realtà che riguardano le necessità pratiche della conduzione della comunità come unità. Dal contesto risulta chiaro che dovevano esistere figure che, se non in maniera stabile, almeno temporaneamente, assumevano questi compiti come un impegno da considerare direttamente originato dallo Spirito. Che cosa, però, questi carismi prevedessero in concreto non è facile da comprendere;
  3. per ultimi i due doni che stanno al centro della riflessione di Paolo: i doni di parlare e interpretare le lingue.

Quello che salta all’occhio ad un lettore moderno di questi elenchi di “carismi” è il fatto importantissimo che per Paolo anche i vari tipi di “ministero” (compresi quelli che riguardano la conduzione organizzativa e pratica della comunità) sono da considerare “carismi”. Questo significa che non esiste nella concezione paolina una distinzione tra il carisma e l’istituzione all’interno della Chiesa, perché entrambi partecipano della stessa origine ed esistono per lo stesso fine, il bene della comunità. Su questo è appena uscito un documento: la lettera della Congregazione per la dottrina della fede “Juvenescit Ecclesia”, che aiuta a riflettere e dà sagge indicazioni per la vita e la collaborazione nella Chiesa tra l’istituzione e le varie realtà carismatiche: gruppi, associazioni, movimenti, cammini di fede che Dio suscita di continuo nella chiesa. Le cose dette finora vi sono tutte confermate ed anche rafforzate.

Aspirate ai carismi più grandi!

Qui Paolo anticipa il ragionamento che svilupperà nel cap. 14, dove indicherà una distinzione tra i carismi più “grandi”, quelli che possono servire direttamente all’edificazione della comunità, e gli altri, quelli che per essere di utilità alla comunità hanno bisogno di interagire con altri (tra questi ultimi vi è anche il dono delle lingue, che, senza il dono corrispondente dell’interpretazione, non può essere di alcuna utilità). Questi sono i carismi che il credente deve imparare a “desiderare” e “ricercare con zelo” (questo è il significato più preciso di “aspirare” nell’originale greco). Non sono i carismi più appariscenti, ma quelli di maggior servizio e dedizione, per questo sono più grandi perché più utili alla chiesa.

E io vi mostrerò una via migliore di tutte.

Questa via di cui viene preannunciata l’indicazione è la “carità”. L’amore non è un semplice “dono” o un “carisma”, ma una “via”: quella via che porta all’edificazione della comunità, e che i Corinzi stanno abbandonando a favore di una esaltazione privatistica di alcuni doni speciali. É giusto aspirare ai “carismi”, ma non per trovare qualcosa che lusinga il proprio egoismo o il proprio orgoglio, ma, piuttosto, per avere la possibilità di edificare la comunità in questo modo. Paolo, dunque, non ha in mente una contrapposizione tra “carismi” e “carità”, ma vede la “carità” come unico e necessario contesto nel quale i carismi possono fiorire in maniera corretta e sicura. Ai doni di Dio Carismi, si risponde con i doni di carità.

Tra i doni dello Spirito come abbiamo visto, se ne trovano alcuni che possono suscitare nella nostra mentalità moderna una forma di fastidio o di scetticismo: “profezia”, “glossolalia” ed altri collegati. Innegabilmente dopo un lungo tempo nel quale queste realtà erano state essenzialmente archiviate come parte integrante di quella stagione iniziale della Chiesa ora non più ripetibile, abbiamo assistito all’inizio del secolo scorso alla ripresa di interesse per questi temi e al loro reinserimento all’interno della vita della Chiesa, soprattutto grazie prima alla nascita delle sette pentecostali e, poi, a quella dei gruppi del Rinnovamento all’interno delle grandi Chiese, tra cui anche la Chiesa Cattolica.

Senza voler minimamente affrontare il problema in questa sede, ma nel tentativo di dare una precisa lettura del pensiero di Paolo, anche in riferimento ad una sua corretta attualizzazione, sicuramente sono da evitare due eccessi:

  1. Bisogna evitare di considerare ogni manifestazione di questo tipo come una pericolosa deviazione o come una possibilità estrema per menti e cuori deboli o sentimentali. Al contrario, una fede tutta spostata verso l’intellettualismo teologico o verso l’etica umana o ancora verso il tradizionalismo fideistico perde per strada sicuramente una delle sue dimensioni fondamentali, quella della vitalità e potenza dei segni di Dio nell’agire della storia. Perché mai questi segni della potenza dello Spirito non dovrebbero essere più possibili nel nostro tempo? Niente nel testo di Paolo autorizza a pensare in questo modo: i doni dello Spirito sono un dono per la Chiesa di sempre, e lo sono nella loro interezza;
  2. E’ però altrettanto necessario evitare di sostituire, alla via maestra dell’annuncio umile della fede, nei segni fragili della Parola e dei Sacramenti, una eccessiva fiducia nella potenza dei segni spirituali e carismatici di vario genere e varie forme, magari legati a figure trascinatrici, con una passione che potrebbe diventare idolatria delle persone. Quando in un gruppo si parla più del fondatore che di Gesù Cristo e del vangelo è più che saggio preoccuparsi. La comunità, ci dice Paolo, si fonda sull’umile annuncio del Vangelo attuato secondo la sapienza della croce, da parte di apostoli capaci di vivere questa sapienza che annunciano. i segni dello Spirito sono dati per corroborare e sostenere questo annuncio, ma non lo possono in alcun modo sostituire.

 

 

 

SPUNTI

per la riflessione personale e comunitaria durante questa estate.

La Chiesa è la comunità di coloro che sono stati chiamati attraverso il Vangelo a incontrare Cristo e ad essere una cosa sola in Lui: questa unità di fondo si struttura ed organizza nella diversità dei vari doni, così che la comunità venga costruita giorno per giorno sviluppando tutte le proprie potenzialità.

Come considero la necessaria varietà dei doni nella Chiesa?

È per me una realtà positiva, e, quindi, una ricchezza da incentivare, o un problema, e, quindi, da scoraggiare?

I carismi sono doni elargiti dall’amore benevolo e gratuito del Padre attraverso la potenza dello Spirito. È abbastanza facile per il credente dimenticare l’origine divina di questi doni e pensarli solo come semplici qualità umane, non sempre perfettamente apprezzate.

Qual è il mio modo di considerare questi doni?

I carismi sono quei doni spirituali, e non solo, che il Signore ha elargito ai singoli credenti perché potessero essere usati a vantaggio di tutti. Come mi comporto riguardo ai doni che ho ricevuto dal Signore e che potrebbero essere di aiuto agli altri? Sono disposto a metterli a disposizione per il bene, o sono per me solo motivo di orgoglio, o di convenienza personale?

Secondo una prospettiva autenticamente cristiana anche l’autorità all’interno della Chiesa è un carisma, cioè una realtà positiva che Dio ha donato perché tutta la comunità possa crescere.

Qual’è il mio modo di relazionarmi con l’autorità all’interno della Chiesa? Come vivo la mia condizione di autorità: come prete, come diacono, come catechista, come genitore ecc.?

Riesco a riconoscerne il valore e il significato, e ad accettarne le decisioni?

Nella prospettiva cristiana non ci sono doni dello Spirito più o meno importanti, ma ognuno è pensato, voluto ed offerto per un compito ben preciso e che non può essere sostituito da nessun altro.

Sono anch’io affascinato dai doni eclatanti a scapito dei doni più ordinari, ma pur così necessari alla vita del credente e della comunità?

La via del cristiano è quella di saper vivere i carismi nella carità. Per questo il Signore ci chiama a metterci in gioco per ricercare nell’amore una relazione con gli altri che li riconosca come veri fratelli. Come posso vivere la mia vita di credente per realizzare questo obbiettivo? Come possiamo strutturare meglio la nostra vita comunitaria perché ciò avvenga?

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