Meditazione sulla Passione secondo Giovanni
Il vangelo che abbiamo appena ascoltato, la Passione secondo san Giovanni, si chiude invitandoci ad avere fede in colui che scrive il racconto, nella sua testimonianza: “Chi ha visto rende testimonianza e sa che dice la verità”.
Non è una favola la Passione di Gesù, ma un racconto appassionato di uno che a Gesù voleva bene davvero. Infatti, l’evangelista non ci dice il suo nome, ma si presenta spesso come “il discepolo che Gesù amava”.
In questo titolo, “il discepolo che Gesù amava”, c’è anche un invito per ciascuno di noi: chiunque ascolta la Passione può identificarsi con questo discepolo che Gesù ha amato, perché proprio di questo parla la Passione, di quanto Gesù ci ha amato.
Lo aveva preannunciato Gesù stesso nel suo lungo discorso dopo avere lavato i piedi ai suoi discepoli, annunciando la sua morte ne svelava il significato, rivelare la grandezza del suo amore per noi, diceva infatti: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13).
Tutta la Passione secondo Giovanni è narrata sotto il registro dell’amicizia, che Gesù offre a tutti ma che l’umanità rifiuta, fino a tradirlo, rinnegarlo e crocifiggerlo.
I grandi dialoghi della Passione.
Il racconto secondo san Giovanni è particolarmente drammatico, più che un racconto di fatti è una presentazione di straordinari dialoghi tra i protagonisti di questa tragedia del peccato dell’uomo e dell’amore di Dio.
Primi fra tutti Gesù e Pilato che dialogano senza capirsi sui temi fondamentali della verità, del potere, della libertà. Queste parole: verità, potere, libertà che risuonano sia sulle labbra di Gesù che di Pilato, come oggi sulle labbra sia dei malvagi che dei santi, hanno però significati opposti.
Pilato non crede alla verità, per lui è vero ciò che gli fa comodo, ciò che conserva il suo potere sulla libertà degli altri, ma in realtà la verità delle parole di Gesù lo inchioda alla sua responsabilità, davvero lui non ha alcun vero potere perché è schiavo della paura e della superbia.
E noi a chi somigliamo di più, a Gesù o a Pilato?
A chi è capace di morire per rendere testimonianza alla verità o a chi non crede alla verità e la usa solo per consolidare il suo potere?
Il secondo dialogo è quello tra Pilato e la folla. Pilato sembra voler rispettare la volontà del popolo, ma in realtà vuole manipolarli secondo i suoi interessi. La folla sembra rispettare l’autorità di Pilato e di Cesare, ma in realtà segue soltanto chi urla più forte. Pilato e la folla sembrano liberi e forti, ma sono fragili ed impauriti. E noi a chi assomigliamo? A loro o a Gesù?
Sotto la croce si svolge un dialogo tra Gesù, sua Madre ed il discepolo amato, qui ognuno fa dono di sé ed accoglie l’altro con tutto il cuore. Questo dialogo pieno d’amore mostra già la salvezza che Cristo ci dona dall’alto della croce. In esso la croce si svela come il nuovo albero della vita, che guarisce l’umanità dal veleno dell’albero di Adamo ed Eva. Maria e Giovanni simboleggiano tutti noi, ma siamo capaci di seguire il loro esempio di dono di sé e di accoglienza?
Le grandi immagini del IV Vangelo
Giovanni che è l’ultimo a comporre il suo Vangelo: non ripete gli altri evangelisti ma, li completa proponendo grandi immagini dense di significato.
La lavanda dei piedi e la tunica.
Giovanni non racconta di nuovo e come gli altri evangelisti l’istituzione dell’Eucarestia nell’Ultima Cena di Gesù, ma piuttosto la spiega con il racconto della lavanda dei piedi dei discepoli da parte di Gesù, così ci svela il significato profondo dell’Eucaristia. Vivere l’eucarestia come l’ha vissuta Gesù è imitarlo nel dono di sé e nell’umiltà, lui il figlio di Dio non solo si è fatto uomo, ma è diventato servo e cibo per i suoi amici. Per fare questo Gesù si spoglia liberamente della sua tunica, anticipando il calvario in cui verrà spogliato con la forza.
Il cuore di Gesù.
E sempre Giovanni al momento dell’ultima cena di Gesù ci rivela un particolare che ha commosso molto i Padri della Chiesa: il discepolo amato ha avuto il privilegio di appoggiare la testa sul petto del maestro, tanto da sentire lo stesso Sacro Cuore battere d‘amore per noi. Per questo osò scrivere che Dio non solo ci ama, ma che “Dio è amore”. Questo significa che Dio si realizza pienamente e ci svela il suo intimo proprio amando, tanto che è impensabile per un cristiano dubitare dell’amore di Dio per tutti noi.
Quello stesso cuore verrà trafitto ed aperto dalla lancia perché tutti possano contemplare l’amore infinito che lo riempie.
L’ora di Gesù.
Questa grande rivelazione dell’amore di Dio si è compiuta in un momento specifico, quando Gesù ha donato la sua vita, per questo Giovanni la chiama l’ora di Gesù, un’ora che Gesù attende per tutta la sua vita come ripete più volte il vangelo. Un’ora che ha cambiato la storia molto più di tutti gli altri avvenimenti accaduti nei secoli. Perché in quel momento come insegna Gesù a Nicodemo, l’umanità ha imparato che: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato, ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”. (Gv 3,16-18).
L’agnello di Dio.
Nel racconto della Passione Giovanni, con maggior precisione degli altri evangelisti, ci narra che la morte di Gesù avvenne proprio nell’ora in cui gli ebrei, preparando la loro cena pasquale, uccidevano gli agnelli che avrebbero arrostito per quel pasto di alleanza con Dio. Gesù è così l’agnello di Dio, che muore per salvare il mondo dal peccato, e che invita tutta l’umanità alla Pasqua del suo Regno.
Gesù il grande maestro.
La Passione di San Giovanni sottolinea meglio delle altre l’insegnamento di Gesù proprio nel suo dialogo con Pilato, il governatore romano. Questo momento è il compimento della profezia del Salmista che dice di Dio: «Tu sei giusto nelle tue parole, inconfutabile nel tuo giudizio» (Sal 51,6). Gesù è davvero il figlio di Dio e la sua divinità risplende nelle sue risposte al governatore romano. Giovanni ci mostra che tutto cambia, non abbiamo più un imputato che risponde a un giudice, ma un maestro, anzi il vero Maestro, che predica e insegna sena paura, anche in un pretorio dell’Impero. Gesù è la verità, è venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità. La verità stessa, vuole rivelarsi fino alla fine, per manifestare il suo semplice splendore nella coscienza umana. Gesù continua a parlare finché avverte la minima apertura mentale nel suo interlocutore, ma non appena deve affrontare la malafede, o il cinismo, o lo scetticismo, Gesù tace, non ha più nulla da dire, non gli resta che offrirsi, sperando che nel massimo del suo dono, almeno alcuni cuori si apriranno alla sua regalità. Egli è sulla croce, come il re sul suo trono, ma il suo regno è quello della coscienza, che viene donato e non imposto alla nostra libertà. E noi come accogliamo le sue parole? Apriamo i nostri cuori alla verità o ci lasciamo contagiare dallo scetticismo e dall’indifferenza del mondo?
Tre brani da rileggere bene.
Ci sono almeno tre brani della “Passione secondo Giovanni” che non basta leggere una sola volta. Infatti, hanno un primo significato che è quasi banale, ma se li rileggiamo con più attenzione contengono invece un insegnamento molto prezioso.
È meglio che un uomo muoia per tutti.
Il primo è: “Portarono Gesù da Anna, suocero di Caifa, sommo sacerdote di quell’anno; ed era stato Caifa a consigliare i Giudei, dicendo loro che era meglio che un solo uomo morisse per tutto il popolo”. (Gv 18,13-14)
Questo testo ricorda un altro passo del vangelo, narrato dopo la risurrezione di Lazzaro, quando i giudei decidono che debbono a tuti i costi trovare un modo per uccidere Gesù. È in Gv 11,49-52: “Uno di loro, Caifa, sommo sacerdote di quell’anno, disse loro: ‘Voi non capite; Non credete che sia meglio per voi che un solo uomo muoia per tutto il popolo e che l’intera nazione non sia distrutta? E Giovanni aggiunge: Questo non lo disse di sé stesso, ma essendo sommo sacerdote di quell’anno, profetizzò che era necessario che Gesù morisse per il popolo, e non solo per il popolo, ma anche per i figli di Dio, i dispersi, per essere riuniti in uno”.
C’è in primo e quasi banale senso nelle parole di Caifa: “è meglio uccidere un uomo solo, che rischiare un disordine che porti alla morte di tanti”. Ma Giovanni ci invita a guardare più in profondità, riflettendo che quest’uomo, che era certo un politico scaltro e spregiudicato, era tuttavia il sommo sacerdote e per questo profetizzò, cioè parlò a nome di Dio, dicendo qualcosa di diverso da quello che pensava di dire.
Attraverso le parole degli uomini ispirati da Dio, spesso senza che questi se ne rendano conto, Dio rivela una verità più profonda. È quello che ha pensato anche Giovanni scrivendo il suo vangelo: che attraverso le parole dell’evangelista Dio aveva comunicato qualcosa di molto più profondo e vero di quello che lui stesso pensava di scrivere.
Il significato davvero profetico della parola di Caifa è che la morte di Gesù diventerà davvero occasione di salvezza per tutta l’umanità. Caifa è stato un profeta involontario, ma lo è stato davvero.
Qualcosa di simile può avvenire anche nella nostra vita. Dio ci parla attraverso le parole degli uomini, se noi sappiamo ascoltare con fede. Il saggio è colui che dà sempre attenzione alle parole di correzione e di guida che può ascoltare, anche se dette da persone che in sé non valgono molto. Dio si può servire anche di loro per guidarci al bene ed al vero. Insegna infatti con grande sapienza san Tommaso d’Aquino: «Ogni verità, da chiunque sia detta, proviene dallo Spirito Santo».
Dici questo da te stesso?
C’è un secondo brano che merita di essere riletto, in cui Gesù si confronta con Pilato che gli chiede: “Sei tu un re?” (Gv 19,37). E Gesù gli domanda da dove provengano queste parole: “Dici questo da te stesso, o sono stati altri a parlarti di me?”. Cioè: da dove viene ciò che dici?
Ogni parola, ogni idea che abbiamo ha una origine fuori di noi ci svela Gesù.
Come risponde Pilato a questa domanda? Che questa idea della regalità di Gesù, l’ha sentita dire in giro dai Giudei, a lui Romano non è che interessino molto le questioni di chi vuol essere il re dei giudei. Eppure, questa parola Pilato l’ha ascoltata, la ripete e ne farà un capo di accusa per condannare Gesù. Gesù, il re della verità, ci mette in guardia verso le parole e le idee che lasciamo con noncuranza entrare nel nostro cuore. Se ti lasci guidare da un’opinione dominate, o forse solo dalle chiacchiere che circolano, se non pensi con serietà e responsabilità “da te stesso”, secondo la verità che nella coscienza Dio ti rivela, potresti anche tu condannare ingiustamente qualcuno.
Gesù è il vero re e la sua regalità si mostra dalle sue parole che nascono dal suo cuore e dal suo ascolto sincero e vero di tutto quello che Dio, il Padre, gli fa conoscere. Anche noi siamo chiamati a questa regalità della verità, anche noi attraverso le sue parole possiamo riempire il nostro cuore di parole di verità e purificarlo dalle parole di menzogna con cui il mondo cerca ogni giorno di intossicarci ed illuderci. Oppure lasciarci portare dalle chiacchiere del mondo e prendere decisioni ingiuste e cattive.
Ecco l’uomo.
C’è un’ultima parola in questo vangelo della Passione che merita di essere letta con attenzione. È un altro caso in cui un uomo poco raccomandabile ed è sempre Pilato, dice una cosa di Gesù pensando in un modo, ma lo Spirito Santo se ne serve per rivelarci una grande verità del tutto diversa.
Quando dopo averlo fatto flagellare Pilato presenta Gesù alla folla ed ai capi dei Giudei dice: “Ecco l’uomo” (Gv 19,5).
Nella mente di Pilato significava: “guardatelo, l’uomo che tanto temete, di cui avete detto che fosse chissà chi, lo potete vedere, è un poveraccio che io posso schiacciare in un attimo. Guardate come l’hanno ridotto le mie guardie con pochi minuti di tortura”.
In questa scena c’è tutta l’arroganza del potere che si crede superiore ad ogni uomo e che spesso considera la vita umana una cosa da nulla. Pilato nella sua vita, quanta gente aveva fatto vivere o morire con un semplice gesto della mano. Quando l’uomo può uccidere i suoi simili, si crede grande, si crede potente. Pilato dicendo “ecco l’uomo” si riteneva lui un vero uomo, mentre Gesù era un poveraccio ai suoi occhi.
Noi sappiamo, dopo 2000 anni che era vero proprio il contrario.
Anche così umiliato, anche così sfigurato, Gesù era un uomo, un vero uomo, anzi l’uomo migliore che avesse mai camminato sulla terra. Non si può giudicare un uomo da ciò che appare. Eppure, anche noi ed anche oggi lo facciamo molto spesso.
Giudichiamo un uomo degno di rispetto se appare ricco, potente, sano e forte.
Una vita fragile, ferita, malata, debole, ci sembra non degna di essere vissuta e tutelata.
Pilato dice: “ecco l’uomo” di questo Gesù moribondo. Dice: “non vale niente, non vale la pena di farlo vivere”.
Eppure, sarà proprio quel moribondo che offrendo quel poco che gli resta di vita ed offrendolo per amore, salverà il mondo!
Questa è la nostra fede: un uomo vale per quanto ama e per quanto ha bisogno di essere amato, solo questo può misurare il valore di un uomo. La poca vita solo iniziale di un bambino nel grembo della madre ed anche la poca vita rimasta ad un moribondo, possono essere la cosa più preziosa a cui è legata la salvezza dell’umanità.
“Ecco l’Uomo”.
All’inizio della storia umana Dio aveva detto: “Facciamo l’uomo a nostra immagine” ed ogni uomo è immagine di Dio e più un uomo somiglia a Gesù, anche a quel Gesù sfigurato e moribondo indicato da Pilato, che per lui non sembrava più neppure un uomo degno di vivere, più un uomo è la sacra immagine di Dio sulla terra.
Diciamo perciò: “Ecco l’Uomo prezioso, ecco l’uomo sacro, ecco l’uomo inviolabile, di ogni uomo che vediamo sulla terra.
Quando tra poco andremo a baciare il crocifisso ripetiamoci: Ecco l’uomo da amare, Ecco l’uomo da stimare, Ecco l’uomo da rispettare in ogni modo e come lui tutti i tantissimi poveri Cristi, moribondi e fragili che si assommano negli ultimi posti sperduti della terra. Essi sono tutti creati ad immagine e somiglianza di Dio.