Messa in Coena Domini – Giovedì santo

02-04-2015

Diocesi di Macerata – Tolentino – Recanati – Cingoli – Treia
MESSA IN COENA DOMINI
Giovedì 2 aprile 2015 – Cattedrale San Giuliano – Macerata
Omelia del Vescovo
S. E. Mons. Nazzareno Marconi
La tradizione rabbinica insegna che dopo aver letto la scrittura bisogna porsi una domanda e le domande che predilige non sono quelle complesse dei teologi ma quelle semplici dei bambini.
Dopo l’ascolto di questo stupendo brano del Vangelo di Giovanni, mi sorgono nel cuore varie domande semplici, immediate come quelle dei bambini, a cui vorrei cercare di rispondere aprendo il cuore alla Parola.
La principale è su un fatto strano: Gesù, ci dice Giovanni, non lava i piedi dei suoi apostoli all’inizio della cena, come sarebbe logico per gente che giunge a celebrare un momento solenne ed ha camminato per le strade del mondo, sporcandosi i piedi con il fango della strada. È invece durante la cena, quella cena così importante in cui Gesù ha istituito l’eucarestia, che si svolge questo rito. Dice infatti il Vangelo: “mentre cenavano” e poi “Gesù si alzò, depose le vesti e si cinse con un asciugatoio”.
Questa azione strana, fatta a questo punto, viene introdotta da una frase molto densa in cui Giovanni ci rivela che Gesù sa ormai per certo che è giunta la sua ora e che si tratta ormai di compiere in pienezza il suo dono d’amore. È come se nel corso di quella cena Pasquale in cui i sinottici ci raccontano l’istituzione dell’eucaristia, Gesù avesse raggiunto una coscienza ancora più profonda ed intensa della volontà d’amore del Padre. Nel vivere sacramentalmente il dono del suo corpo e del suo sangue, come pegno d’amore per la sua chiesa e per l’umanità, nel cuore di Gesù si fa chiara la certezza che bisogna ulteriormente arricchire questa rivelazione dell’amore. Poi il Vangelo di Giovanni si sforzerà con il lungo discorso dei capitoli seguenti di sviluppare il tema dell’amore di Dio rivelato nell’amore di suo figlio Gesù, ma ora tutto viene riassunto in un solo gesto, che è anche un potente simbolo.
Gesù fa tutto con lentezza quasi rituale, questo gesto dello schiavo, questo atto umiliante, diventa per lui una solenne celebrazione.
Il primo gesto significativo lo attua deponendo le sue vesti, svestendosi cioè come un servo, uno schiavo. Nella ricca simbolica di Giovanni che scrive un Vangelo aprendolo con una festa di nozze ed intessendolo di immagini nuziali, questo spogliarsi di Gesù è insieme il gesto del figlio di Dio che si umilia per amare l’umanità, ma è anche il gesto dello sposo che si prepara ad unirsi alla sua sposa. Quello che Gesù fa è un atto di profondo amore, e come ogni vero atto d’amore è un perdersi, un donarsi senza misura,
dimenticarsi senza chiedere nulla in cambio. Poi Gesù si cinge dell’asciugatoio, perché il suo gesto non è soltanto un versare simbolicamente poche gocce d’acqua sui piedi sporchi della sua chiesa. Gesù vuol davvero lavare con l’impegno di chi si coinvolge totalmente, ciò che il mondo ha deposto sui piedi della sua chiesa.
Papa Francesco ci ha esortato a non essere mondani. Anche lui, come Gesù, spinge discepoli nel mondo fino agli estremi confini della terra, per essere una chiesa in uscita, che non teme di ferirsi per andare verso i fratelli. Ma tutto questo essere nel mondo, non deve portarci ad essere del mondo. Nel mondo c’è il bene che dobbiamo ammirare, c’è la verità che non è solo patrimonio nostro, e che dobbiamo riconoscere, anche quando ci giunge da pulpiti non autorizzati. Nel mondo c’è il camminare di tanti uomini che tracciano la via del bene con il loro esempio, anche se non hanno le casacche ufficiali delle nostre truppe. Ma nel mondo c’è anche il mistero dell’iniquità, c’è l’egoismo e la prepotenza del potere, c’è l’invidia e l’odio che umilia quanti sono diversi, è questo il fango che può insozzare i nostri piedi di uomini del Vangelo, che camminano nel mondo. Farsi contaminare da questa mentalità e da questo stile mondano è essere del mondo, dice Gesù, e Papa Francesco ci ricorda l’impegno a mantenersi lontani da questa mondanità. Ciò su cui possiamo contare non è però primariamente la nostra capacità o la nostra buona volontà, ma la grazia piena di misericordia con cui Gesù ogni giorno è disposto a chinarsi ai nostri piedi, a cingersi di un robusto asciugatoio, ed a versarci con abbondanza sui peccati, l’acqua della misericordia e del perdono.
In questo lento gesto di Gesù, che si china a lavare i piedi della sua chiesa, sta tutto il tempo di una contemplazione chiara di quanto il nostro peccato ci ha sporcato. Gesù vede bene e da vicino quanto sono sporchi nostri piedi, ma non dice nulla, non fa prediche o esortazioni moralistiche, semplicemente versa l’acqua e lava i piedi. Dobbiamo ammetterlo, gli somigliamo davvero poco! Siamo infatti molto bravi a vedere quanto siano sporchi i piedi degli altri, siamo molto bravi a dire loro che dovrebbero lavarsi in fretta, magari indicando anche dove si trova la fontana. Ma l’amore vero non è quello che dall’alto giudica, condanna ed indica magari la via della salvezza senza troppo coinvolgersi. L’amore vero è quello che si sporca le mani, quelle mani che hanno appena spezzato il pane dell’eucaristia, e che la preghiera antica della chiesa definisce con uno sguardo contemplativo ricco di ammirazione: “Le sue mani sante e venerabili”. Queste mani Gesù bagna e sporca per curare i nostri peccati! Tanto più noi dovremmo chinarci ai piedi dei fratelli e senza timore di insozzarci, donare loro l’acqua del perdono.
È scomodo un Dio che si comporta così, che si fa maestro di una lezione così esigente, e ben lo sa Pietro che si schermisce e proclama: “tu non mi laverai mai i piedi”. Ma Gesù non permette che la chiesa si illuda di trovare una via diversa da quella dell’umile servizio all’uomo che lui ci ha tracciato. Solo per questa via potremo avere parte con lui, potremo cioè condividere la vita nel regno con Gesù e con tutti i santi. Questa infatti è stata la via dei santi, la via dell’umiltà, del servizio, dell’amore intenso a Dio e ai fratelli. Che il Signore ci doni di non allontanarci mai da questa strada.

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