Omelia 10° Anniversario Ordinazione Episcopale

13-07-2024

Quando si viene festeggiati per un anniversario si corre il rischio di fare la fine del “caro estinto”, di cui tutti parlano bene, anche se non ci credono. In quel caso il “caro estinto” non può parlare, ma non è ancora il mio caso. Per questo parlo e come al solito cerco di dire ciò che penso ed anche un po’ di pensare a ciò che dico.

Mi guida in questa riflessione su 10 anni di episcopato un passaggio del salmo 115: “Che cosa renderò al Signore per tutti i benefici che mi ha fatto? Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore. Adempirò i miei voti al Signore, davanti a tutto il suo popolo”. In queste due righe ho letto spesso questa nuova vocazione a cui da 10 anni sto cercando di rispondere.

Quella di Vescovo è davvero una vocazione, una chiamata che viene da fuori e non un desiderio personale, perché si ha il potere solo di accettarla o rifiutarla se la Chiesa la propone, non di autoproporsi. Io ho accettato questa proposta del Santo Padre Francesco, che mi giunse per mano del Nunzio Bernardini, nella convinzione che: se era volontà di Dio, era bene obbedire; se non lo era, almeno non era stata una volontà mia, ma una richiesta cha aveva tutti i bollini giusti per provenire dall’autorità della Chiesa. Ed in questo caso il Signore mi avrebbe certo dato una mano.

Un amico prete, che ama smitizzare, mi disse: “non crederai che in questa nomina c’entri davvero lo Spirito Santo!”. Anche io ci credevo poco, ma ora posso testimoniare che da quel momento lo Spirito Santo ci si è messo di mezzo per davvero ed io non posso che ringraziare il Signore.

Io sono rimasto più o meno quello che ero, non ho avuto né visioni né illuminazioni particolari e la mia fede è rimasta fragile come prima, ma ho visto che lo Spirito Santo riesce comunque a fare il suo lavoro anche attraverso di me.

Per questo come dice il salmo, con cuore stupito mi sento in debito: Che cosa renderò al Signore per tutti i benefici che mi ha fatto? E soprattutto per il bene che Lui ha fatto passando attraverso di me?

Il salmo indica tre azioni che ho imparato quanto davvero siano costitutive del lavoro del Vescovo: “alzare il calice” cioè celebrare con devozione di mente e di cuore. “Invocare il nome del Signore”, cioè “pregare per tutti e senza mai stancarsi”, come è detto nelle promesse dell’Ordinazione. Ed infine “adempiere davanti al popolo i miei voti al Signore”, cioè cercare di vivere in piena trasparenza tutte le promesse fatte il giorno della ordinazione episcopale.

Ed i voti, le promesse, che un vescovo fa nell’ordinazione, sono davvero saggi e belli. Oltre l’impegno primario della preghiera se ne possono sintetizzare altre tre:

Predicare il Vangelo, custodendo la fede secondo la tradizione della Chiesa.

Costruire e rafforzare l’unità della Chiesa, diocesana ed universale, insieme con gli altri vescovi ed il Papa.

Prendersi cura, con l’amore di un padre sempre misericordioso ad accogliente, di tutto il popolo santo di Dio, a partire dai presbiteri e i diaconi, indispensabili collaboratori nel ministero.

Questo è ciò che un vescovo deve fare. Per quanto ci sono riuscito, per grazia di Dio, ne ringrazio il Signore. Per quando non l’ho fatto ve ne chiedo perdono, aiutatemi a fare meglio in futuro.

Ed a tutti chiedo la carità della schiettezza. Io cerco di farlo sempre di più verso tutti voi, anche perché ho visto bene che non sono un bravo attore, non posso fingere una devozione, una sapienza o una autorevolezza che non ho: se ne accorgono subito tutti.

Questa ricetta, di schiettezza e trasparenza, che mi ha guidato finora, mi ricorda tanto certe etichette del supermercato: “prodotto senza additivi, coloranti o conservanti”. Ed ho visto che è una buona ricetta, perché voi, il popolo di Dio, siete molto comprensivi e pazienti con chi cerca di fare del suo meglio senza montarsi troppo la testa.

Anche di questo stile devo rendere grazie, perché è un bel dono che Dio mi ha dato attraverso dei bravi maestri che mi ha messo vicini in questi 66 anni di vita, 41 di sacerdozio e 10 di episcopato.

La mia famiglia per prima, con mamma, nonna ed uno zio prete ed uno muratore che mi hanno insegnato a vivere e credere fino ai venti anni. Con gli altri miei cari, andati in cielo troppo presto, ma che non mi hanno mai fatto mancare una speciale assistenza “dal piano di sopra”. Poi il Seminario Romano, che mi ha formato per ben 9 anni. Seguiti da 9 anni da viceparroco, in cui ho appreso “il mestiere” della parrocchia, dai preti e soprattutto dalla gente. Quindi 8 anni da parroco, rimandato nel mio paesello d’infanzia, in cui tutti mi trattavano con la confidenza di chi ti ha visto monello, per cui non puoi sgarrare. Altri 9 anni da Rettore del Seminario Regionale dell’Umbria, quando ho capito pregi e difetti dei preti vedendoli spuntare mentre crescevano. E dopo un anno bellissimo di ritorno in parrocchia, l’inizio di quest’ultima avventura della fede: fare il vescovo.

Questo è il vescovo che vi è capitato e che adesso, quando si distrae, pensa e parla maceratese. Mi scuso se non sono una buona forchetta e non riesco a fare onore alle vostre tavole, un difetto che a Macerata è piuttosto grosso, ma nessuno è perfetto!

Grazie davvero per il bene che mi avete donato di tutto cuore, grazie soprattutto per la pazienza che tutti, preti e laici avete avuto con me per ben 10 anni! Coraggio, ve ne restano solo 8 e mezzo, a Dio piacendo. Io lo spero davvero.

Ed infine, come ho sempre fatto fin da piccolissimo, metto tutto nelle mani della Madonna, perché così so per certo che sono in buone mani.

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