Omelia del Giorno di Pasqua

05-04-2015

La festa di Pasqua, era la festa del “passaggio”, è questo infatti il significato popolare del termine ebraico pesah; ricordava infatti il miracoloso passaggio del Mar Rosso che per gli ebrei aveva significato del passaggio dalla schiavitù alla libertà, dalla morte alla vita.
I cristiani hanno continuato a chiamarla festa di pasqua, cioè festa del passaggio, perché è tutta centrata sul passaggio che Cristo ha fatto dalla vita alla morte, e su quel passaggio che ci ha aperto per entrare nuovamente in comunione di vita con Dio. Se il secondo passaggio costituisce il mistero dell’infinita misericordia di Dio, non è un mistero minore il primo, cioè la resurrezione di Gesù.
I Vangeli, ben coscienti di questo non hanno cercato di immaginare cosa sia successo in quella tomba, magari provando ad inventare una descrizione fantastica dell’attimo della resurrezione. Una tale curiosità rientra forse nello stile di alcune fiction televisive, non certo in quello dei Vangeli.
Matteo, Marco, Luca e persino Giovanni hanno scelto di rispettare il mistero, tramandandoci solo ciò che dei testimoni affidabili avevano potuto sperimentare di questo straordinario evento: la tomba ormai vuota e l’incontro con Gesù nuovamente vivo, ma di una vita totalmente rinnovata.
È Dio stesso, che spinge i primi rappresentanti dell’umanità salvata a constatare la verità dell’annuncio pasquale mandando il suo angelo, come dice con profondo acume S. Tommaso d’Aquino: “questo non rotola la pietra come aprendo una porta perché il Signore possa uscire, ma affinché, essendo questi già risorto, l’umanità possa constatare ciò”.
La presenza di due uomini per testimoniare la verità del sepolcro vuoto risponde alle esigenze del diritto ebraico, secondo il quale per la validità di una testimonianza devono essere almeno due i testimoni oculari. L’associazione tra il vedere e il credere formerà una delle tematiche centrali della seconda parte di questo capitolo con cui Giovanni ci educa a riconoscere il Risorto: Tommaso pretenderà di vedere per credere e il Risorto esaudirà la sua richiesta, proclamando però beati quelli che crederanno senza aver visto.
Anche il discepolo prediletto prima vide, ma poi credette alla Scrittura che prediceva la risurrezione di Gesù. Giovanni ci insegna così che l’ignoranza della Scrittura da parte dei discepoli rende più difficile credere.
Ci sono vari personaggi in questo vangelo che vanno alla ricerca dei segni, ci sono diversi temperamenti, diverse mentalità: c’è l’affetto di Maria, l’intuizione di Giovanni, la massiccia lentezza di Pietro, in tutti possiamo rispecchiarci con le nostre fatiche e debolezze. Quando manca la presenza dei segni visibili del Signore, bisogna scuotersi, muoversi, correre, cercare, comunicare con altri, con la certezza che Dio è presente e ci parla. Se nella Chiesa primitiva Maddalena non avesse agito in tal modo, comunicando ciò che sapeva, e se non ci si fosse aiutati l’un l’altro, il sepolcro sarebbe rimasto là e nessuno vi sarebbe andato!
Anche dopo la resurrezione era difficile per gli apostoli aver fede, come sottolinea Giovanni in questo brano. Anche Pietro, il discepolo che aveva riconosciuto in Gesù il messia figlio di Dio, non coglie il senso dei segni che scopre. Solo Giovanni, il cui cuore è dilatato dall’amore per il suo Maestro, ha l’intuizione di quanto sta avvenendo, prima ancora di vedere Gesù risorto.
Da quel momento l’evangelista sottolineerà che la fede appartiene ad un altro ordine di esperienza rispetto alla semplice visione fisica di Gesù vivente. Per riconoscere il Risorto vivo e presente nella storia, allora come oggi, non servono “effetti speciali” o segni eclatanti. A Maria Maddalena basterà
sentirsi chiamare per nome con un tono ed una dolcezza che, lei lo sapeva bene, solo Gesù poteva avere. Per i discepoli di Emmaus il cammino comincerà con l’ascolto della Parola che infiamma il cuore e si concluderà davanti al pane spezzato dell’eucaristia. Un cammino per incontrare il Risorto che somiglia molto al nostro odierno cammino di fede.
Fare pasqua da cristiani è vivere una apertura di cuore davanti alla Parola di Dio, perché questa possa infiammarci e spingerci a credere. E’ accostarci al pane dell’eucaristia con gli occhi aperti, per riconoscere lo sguardo di Gesù. E’ lasciarci chiamare per nome e condurre all’incontro con il nostro Signore e Maestro.

condividi su