Omelia della veglia pasquale

04-04-2015

Non è qui, è risorto e vi precede in Galilea.
Da questa notte e per qualche giorno il saluto che ci scambieremo sarà: Buona Pasqua. Il termine Pasqua significa passaggio, da un verbo ebraico che tradotto significa: “oltrepassare”, “andare al di là”.
La Pasqua è stata per il popolo ebraico il passaggio dalla schiavitù alla libertà. Una trasformazione profonda che cambia radicalmente il proprio modo di essere e di vivere. Anche per noi cristiani la Pasqua è innanzitutto questo passaggio dalla schiavitù alla libertà: dalla schiavitù del peccato, alla libertà dei figli di Dio. Ma di fatto, potremmo dire che: noi non siamo schiavi, siamo liberi di scegliere e decidere, siamo padroni della nostra vita. Il passaggio dalla schiavitù alla libertà però ci riguarda davvero. Siamo schiavi delle nostre abitudini, delle nostre pigrizie, siamo schiavi di una mentalità comune dalla quale ci lasciamo condurre per conformismo, siamo schiavi di quanti ci vogliono dirigere manipolare e certo non possono farlo senza che ce ne rendiamo conto, ma tutto sommato ci fa comodo così. Quanti di noi potrebbero davvero dire: sono un uomo libero. La Pasqua, il passaggio dalla schiavitù alla libertà, ci riguarda perciò molto più di quanto siamo disposti ad ammettere. La Pasqua prima che una chiamata alla libertà è per tutti noi, una chiamata alla responsabilità ed alla coscienza. L’augurio di buona Pasqua, ci invita quindi a fare un passo, almeno un passo significativo sulla via della libertà, della responsabilità, della coscienza. È il Signore Gesù risorto, è il nostro Dio liberatore del suo popolo schiavo, che ci chiamano a vivere così la Pasqua.
Ma la Pasqua è anche il passaggio vissuto da Gesù, dalla morte alla vita. Anzi, è il passaggio dalla vita attraverso la morte, fino alla vita nuova dei risorti. Il Vangelo ci riferisce infatti di un passaggio dalla morte alla vita vissuto da: Lazzaro, dal figlio della vedova di Naim, dalla bambina di 12 anni; tutte persone che Gesù fa risorgere nel corso della sua missione. In tutti questi casi però si trattò di un passaggio dalla morte alla vita, anzi di un ritorno alla vita di prima, dopo l’esperienza della morte. Un’esperienza di morte così viva e concreta che Lazzaro era già da tre giorni nel sepolcro ed il suo corpo aveva iniziato la decomposizione. In tutti questi casi il passaggio fu però provvisorio, il ritorno fu a questa nostra vita fragile e limitata, che cammina ogni giorno verso la morte. Lazzaro e gli altri, dopo la resurrezione, sono tornati a morire! Mentre Paolo confessa con entusiasmo: Cristo, risorto dai morti, non muore più, la morte non ha più potere su di lui. Perché la resurrezione di Cristo che oggi celebriamo è un passaggio attraverso la morte dalla vita che conosciamo, la nostra vita fragile e che ogni giorno si spegne camminando verso la morte, ad una vita nuova, quella della resurrezione, la vita che ci attende nel per sempre di Dio, e che cammina di giorno in giorno, verso una pienezza sempre più grande. L’annuncio della resurrezione, l’esperienza dell’incontro con il risorto, fu per i discepoli che avevano sperimentato la resurrezione di Lazzaro e degli altri, una esperienza del tutto nuova.
I racconti della passione ci dicono che i 12 pur avendo sperimentato la resurrezione di Lazzaro e quindi la potenza di Gesù sulla morte, davanti alla minaccia di morte anche per loro, che proveniva dal calvario, fuggirono tutti ed abbandonarono Gesù. Pietro addirittura lo rinnegò apertamente. L’esperienza del ritorno di Lazzaro a questa vita non era bastata per loro, non era bastata a cambiarli,
perché la morte continuava a trionfare, e prima o poi avrebbe di nuovo ghermito la vita del loro amico Lazzaro. Invece l’incontro con il risorto li cambiò profondamente. Nel contatto con lui sperimentarono l’esistenza di una vita nuova, una vita che camminava dalla morte ad una vita sempre più piena. La morte e tutta la fragilità umana legata alla morte ed al peccato, con ogni evidenza, non poteva scalfire più il corpo glorioso del risorto. Il corpo di Cristo risorto era la testimonianza e la pienezza di una vita nuova che Lui ci prometteva e che Dio ci avrebbe donato. Fu questo a cambiare i discepoli. Fu questo a dar loro il coraggio di percorrere le strade del mondo, rischiando ogni giorno la vita, per annunciare che c’era una vita più grande, più vera, più luminosa, e per dare il buon annuncio che questa vita ci era stata donata da Dio grazie al sacrificio di Gesù morto sulla croce per tutti noi. Per uccidere la morte con la sua morte!
Buona Pasqua è dunque per noi cristiani l’augurio di un passaggio dalla incredulità, alla fede in questa pienezza di vita della resurrezione che ci attende come dono del futuro.
Poche cose ti cambiano la vita in maniera così radicale, mi confidava un giovane da poco diventato padre. Quando ho sentito, ho visto ed ho toccato con mano, che noi due avevamo donato una vita al mondo, quando ho sentito che attraverso di noi una potenza nuova e straordinaria di vita era giunta qui sulla terra in mezzo a noi, mi sono sentito insieme grandissimo e piccolissimo. Ho sentito che la morte non poteva più sconfiggermi, perché quella vita sarebbe continuata anche dopo la mia morte. Ed ho sentito che tutto questo era un mistero molto più grande di me, di noi. Che qualcuno con noi ed in noi, aveva agito per donare la vita al mondo.
Davanti all’annuncio della resurrezione anche noi ci sentiamo in questa notte grandissimi e piccolissimi. Grandissimi perché portatori dell’annuncio più grande che un uomo può dare al mondo. Piccolissimi perché tutto ciò si realizza nella nostra fragilità, nonostante il nostro peccato, per la potenza misericordiosa di Dio.
Nella tradizione ortodossa in questi giorni di Pasqua ci si saluta con un dialogo augurale. “Cristo è risorto”, dice il primo amico, “è veramente risorto!”, gli risponde l’altro. Che la luce di questa fede illumini ogni nostra notte.

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