È particolarmente significativo celebrare il diaconato di un consacrato, come il nostro Giacomo, in questa vigilia della festa dei Santi, che ricorda a tutta la Chiesa l’universale vocazione alla santità. Questa festa sarebbe infatti più bello chiamarla la festa di tutti santi, o ancora più chiaramente ispirandosi all’enciclica “Fratelli tutti”, la festa di santi tutti. Perché, come dice l’Apostolo: questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione (1Tes 4,3). La prima missione del consacrato è proprio questa: farsi santi. E realizzando questa missione testimoniare ed indicare a tutti che la via della santità è possibile ed aperta a tutti.
Il vangelo delle Beatitudini non dice altro che questo: si può essere beati per l’azione della grazia di Dio anche in situazioni estreme, che sembrano produrre la disperazione piuttosto che la santificazione. Le Beatitudini annunciano che la via della santità è aperta in ogni situazione e per tutti ed i consacrati hanno la bellissima vocazione di indicarcela con la loro vita. I tre voti dicono infatti che: chi ha Dio ha la più grande ricchezza, chi ha Dio ha l’amore più grande, chi ha Dio trova nell’obbedirgli la sua gioia, perché “Dio solo basta” a renderci Beati, come insegna Santa Teresa d’Avila.
Per questo vorrei che riflettessimo sul significato di questo ministero che la Chiesa diocesana ti conferisce, non mettendo tra parentesi la tua consacrazione tra i Figli del Sacro Cuore di Gesù, ma anzi proprio a partire da essa.
La vita Consacrata, infatti, non è una realtà secondaria nella Chiesa, ma ne è una colonna portante che il Vescovo deve custodire come un bene prezioso. Nel suo bellissimo scritto “Vita consecrata” S. Giovanni Paolo II esordiva così: La vita consacrata, profondamente radicata negli esempi e negli insegnamenti di Cristo Signore, è un dono di Dio Padre alla sua Chiesa per mezzo dello Spirito. Con la professione dei consigli evangelici i tratti caratteristici di Gesù – vergine, povero ed obbediente – acquistano una tipica e permanente «visibilità» in mezzo al mondo, e lo sguardo dei fedeli è richiamato verso quel mistero del Regno di Dio che già opera nella storia, ma attende la sua piena attuazione nei cieli.
Questo dono specifico alla Chiesa, che siete chiamati a portare come “Figli del Sacro Cuore di Gesù”, è stato autorevolmente ricordato proprio in questi giorni dall’Enciclica di papa Francesco “Dilexit nos”. Nella sua introduzione c’è quasi una sintesi del vostro carisma comunitario, ispirato dall’amore umano e divino che Gesù ci ha insegnato a vivere col suo esempio. Dice papa Francesco che: incontrando l’amore di Cristo, “diventiamo capaci di tessere legami fraterni, di riconoscere la dignità di ogni essere umano e di prenderci cura insieme della nostra casa comune”. Non sono forse i tre fondamenti della vostra vita consacrata proprio: la vita fraterna nutrita di preghiera; l’accoglienza e l’educazione alla fede dei più fragili difendendoli da ogni male ed infine il lavoro per custodire e coltivare il mondo? Facendo questo, è sempre il Papa che parla, contribuite alla missione della Chiesa perché il mondo, “che sopravvive tra le guerre, gli squilibri socioeconomici, il consumismo e l’uso anti-umano della tecnologia, possa recuperare ciò che è più importante e necessario: il cuore” (DN 31).
Il tuo diaconato, che ti configura a Cristo servo di Dio e dell’umanità, si inserisce pienamente in questa vocazione, dice infatti il Papa che l’effetto dell’autentica vocazione al Sacro Cuore di Gesù è: “riscoprire la tenerezza della fede, la gioia di mettersi al servizio e lo slancio della missione”.
Il diaconato dona a questa tua consacrazione come Figlio del Sacro Cuore di Gesù un carattere sacramentale, un segno potente ed indelebile dello Spirito che ti lega alla Chiesa Diocesana ed al suo Vescovo, mentre caratterizza la tua configurazione a Cristo nella linea del farti servo del Padre e del Suo popolo.
È come se ti venisse consegnata una nona beatitudine: beati voi, umili servitori di Dio e del suo popolo, perché Gesù stesso vi servirà con amore.
Carissimo Giacomo, non temere, non ti viene chiesto nulla di particolarmente nuovo, ma ti viene donata una peculiare grazia sacramentale per continuare sempre meglio a vivere la tua missione.
In questi anni abbiamo vissuto insieme, con gioia ed anche un po’ di normale fatica, l’impegno tecnico e spirituale di restaurare le nostre chiese danneggiate dal sisma. Come sai bene non abbiamo cercato solo di restaurarle, ma anche di rinnovarle, nella coscienza che la Tradizione è una realtà viva. Ha scritto Jean Guitton, grande amico di S.Paolo VI: “La Tradizione è il progresso di ieri ed il progresso sarà la Tradizione di domani. Perciò quelli che pensano che si debba distruggere tutto quello che è stato fatto prima di loro, per sostituirlo con qualcosa di interamente nuovo, costoro sono uomini catastrofici e non uomini di progresso”.
Credo che la tua missione diaconale come disse il Crocefisso di San Damiano a San Francesco sia di lavorare per il restauro nel progresso non solo della chiesa di mattoni, ma con essa della Chiesa di persone: “va e restaura la mia Chiesa”, ti dice il Signore.
Omelia ordinazione diaconale di Giacomo Alimenti, consacrato nella Comunità dei Figli del Sacro Cuore di Gesù
31-10-2024