Omelia per la Santa Messa Crismale

17-04-2025

Carissimi, la Prima Lettura di questa solenne celebrazione può essere letta come un’articolata riflessione sulla nostra realtà di sacerdoti e diaconi del Signore.

Non è facile oggi vivere la nostra vocazione, perché il prete è in una condizione scomoda, imitando Gesù è al tempo stesso: “di quaggiù e di lassù” (Gv 8,23). Lo ricordavo pochi giorni fa nell’omelia per il funerale dell’ultimo di noi che ci ha lasciato, don Mario Menghini.

Anche Papa Francesco nella Evangelii Gaudium, parlando della crisi spirituale dei servitori del Vangelo nel mondo di oggi, quegli “operatori pastorali” di cui noi siamo parte integrante e primaria, la attribuiva a tre fattori: «un’accentuazione dell’individualismo, una crisi di identità e un calo di fervore» (EG 78).

Mentre ritengo che debba essere presa molto sul serio questa diagnosi fatta dal Papa, penso che i tre fattori non siano semplicemente posti uno dopo l’altro, ma sono da leggere in un ordine negativamente generativo.

Penso infatti che proprio “la crisi di identità” sia da leggere come l’origine degli altri due fattori di fragilità e demotivazione. Infatti, proprio quando non sai chi sei ti ritrovi impacciato nella relazione con gli altri e quindi incapace di vivere una collaborazione serena, cadendo nella tentazione dell’individualismo. L’individualista vive infatti una impaurita ritirata nel privato perché, poiché non sa chi è, fatica a confrontarsi.

È ancora se non sai chi sei e non percepisci quanto la tua vita sia profondamente legata a Dio e posta in preziosa relazione di intercessione verso gli altri, che entra in crisi il tuo fervore. Se non ti senti legato a Dio e capace di pregare efficacemente per gli altri, non hai motivo di tenere le mani giunte.

Ecco allora il valore che questa prima lettura tratta da Isaia ha per noi oggi: ci può aiutare a comprendere meglio e di nuovo chi siamo, a guarire la nostra crisi di identità di sacerdoti e diaconi del Signore.

Se infatti proviamo a rileggere questo bellissimo testo di Isaia, vediamo che il profeta lo apre proprio proclamando la sua identità: è un consacrato dallo Spirito del Signore, che il Signore ha mandato nel mondo per una missione di bene e di salvezza.

Quando il profeta si presenta ad annunciare la buona notizia ai poveri, quando si china a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, quando proclama la liberazione dei prigionieri, lo fa con la forza della sua chiara identità. Egli è un inviato dal Signore ed è stato inviato in forza dello Spirito che lo ha consacrato.

Il testo di Isaia continua, dettagliando tante azioni positive che fa il profeta, attraverso le quali contribuisce a ricostruire e a far crescere il Popolo del Signore. Un Popolo a cui potrà finalmente proclamare solennemente: “sarete chiamati Sacerdoti del Signore”.  Questo è il risultato finale della sua azione: edificare un Popolo sacerdotale. Leggendo questo testo alla luce del Concilio e della fede della Chiesa potremmo dire che: il profeta sostiene e fa crescere il sacerdozio comune dei fedeli. Ma tutto ciò nasce dal fatto che il Profeta ha una chiara identità: è un consacrato del Signore, ha ricevuto il dono dello Spirito Santo.

Negli anni passati e per lungo tempo, per ribadire giustamente il valore primario del Sacerdozio Comune dei fedeli, l’essere il Popolo sacerdotale del Signore, si è ritenuto di dover abbassare, depotenziare, desacralizzare, il sacerdozio ministeriale.

Sia detto chiaramente: questa idea non c’è nei bellissimi testi del Concilio.

L’errore di fondo che ha portato a questa idea perniciosa, certo vissuto in buona fede, è stato quello di aver pensato in una maniera troppo umana che: insistere sul tema della consacrazione di una persona comportasse porla in una situazione di diversità e quindi di superiorità e di potere.

Parlare dei sacerdoti, dei presbiteri, ma anche dei diaconi come dei consacrati dallo Spirito Santo era ritenuto da alcuni uno sminuire la dignità ed il valore della consacrazione battesimale vissuta da tutto il Popolo di Dio.

Ma questo accade perché nel mondo, che è tragicamente innamorato del potere, essere speciali, essere distinti, essere consacrati, lo si percepisce come essere posti in una condizione di maggior potere e di superiorità sugli altri.

Questo è ragionare in maniera mondana, non evangelica. Se anche noi ragioniamo così, non potremo servire un Signore: i cui pensieri non sono i nostri pensieri e le cui vie non sono le nostre vie (Is 55,8).

Se come ministri del Signore, consacrati e mandati per il bene del Suo Popolo, vogliamo capire chi siamo non possiamo conformaci alla mentalità di questo secolo (Rm 12,2) in cui ogni diversità è pensata secondo una logica di potere, come se fondasse una superiorità ed una sopraffazione. Mentre agli occhi di Dio la consacrazione dovrebbe piuttosto fondare una chiamata, ad immagine di Cristo il consacrato dal Padre, a farci minori e servitori generosi dei fratelli.

Dio è amore, per questo il suo primo pensiero è: amare e donare. Perciò quando Dio, con il suo Spirito consacra e pervade un cuore umano, lo fa perché questo cuore umano ami di più e si doni di più. Non, come pensiamo noi mondani, per metterlo sul piedistallo del potere. Se per combattere il clericalismo, desacralizziamo e sconsacriamo il nostro sacerdozio, non faremo altro che distruggere la nostra identità spirituale, senza aver sconfitto una più subdola logica di potere, che è la pianta maligna da cui germoglia ogni clericalismo, sia dei preti che dei laici.

Il grande consacrato e mandato di questo testo di Isaia, che è il profeta stesso e poi in una visione prospettica il Signore Gesù, realizza invece questo suo essere consacrato e mandato, proprio vivendo una totale dedizione di sé, un porsi a servizio di tutti e primariamente degli ultimi. Facendo così non per imporsi sugli altri, ma per elevare un intero popolo alla dignità sacerdotale, cioè di mediatori di salvezza per tutto il mondo.

Così, in piena e serena coscienza della propria identità di ministri consacrati, di sacerdoti e diaconi del Signore, si promuove l’identità sacerdotale di ogni battezzato e di tutto il popolo di Dio. Quanto è diverso questo sguardo da un pensiero mondano, che nella chiesa non dovrebbe avere cittadinanza.

Questo sguardo spirituale sulla nostra identità di consacrati, non ha bisogno di criticare, annacquare, sbiadire la coscienza che il profeta ha di essere un consacrato del Signore, di essere stato investito dalla potenza dello Spirito, di essere stato plasmato nell’intimo a partire da un’energia nuova che viene dall’alto. Una energia di grazia divina che non è sua, ma che ha ricevuto in dono e che può diventare sorgente di bene attraverso di lui per tanti altri.

Altrimenti non guariremo mai, come sacerdoti e diaconi, dalla nostra crisi d’identità che ci rende spaventati e così ci isola, non ci fa percepire la vicinanza di Dio e la bellezza di poter fare grandi doni spirituali ai fratelli. Finché non recupereremo questa nostra identità non potremo sentirci ed essere ministri del Signore, servitori della Grazia perché il mondo viva.

Noi consacrati dallo Spirito del Signore, noi invasi dalla grazia, noi spossessati di noi stessi, ma per essere arricchiti della presenza di Dio in noi; noi spogliati di dignità umana, ma per essere rivestiti dalle vesti di salvezza; ed infine noi affamati e assetati di giustizia, per farci portatori della grazia di Dio al mondo.

Che il Signore oggi ci riconfermi tutti in questa bella e grata coscienza della nostra identità di consacrati e di inviati dal Signore.

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