Questa celebrazione fatta sul sagrato del Duomo di San Giuliano è rivolta in modo particolare alla città e la intendo come una presa di parola del vescovo, cittadino tra gli altri, desideroso di rivolgersi a tutti, credenti e non per condividere un pensiero libero e spero propositivo.
Il ricordo del nostro Santo Patrono è tramandato da una conosciutissima Leggenda medievale, diffusa soprattutto nella Legenda Aurea di Fra Jacopo da Varagine. “Legenda” non significa favola inventata, ma narrazione “da leggere” e su cui riflettere, appunto “legenda” in latino. Un racconto da conoscere e tramandare perché trasmette una sapienza popolare e di fede che fonda l’identità della nostra gente maceratese.
Popolo, ha detto Papa Francesco, non è una categoria sociologica o peggio etnica o di razza, come sostengono alcune ideologie, ma una categoria mitica: cioè costruita da una memoria comune, dall’appartenenza ad un ricordo ed ai valori di una narrazione comune, capace di definire chi siamo e soprattutto chi vogliamo diventare tutti assieme. Per il nostro popolo questo ruolo di narrazione che unifica, la svolge da secoli la storia e l’immagine di San Giuliano.
La legenda di san Giuliano comincia con un giovane impulsivo e facile all’ira, tanto da sfogarla nella caccia, che viveva più per liberare le sue passioni che per procurarsi il cibo. Giuliano è un uomo solo, centrato su di sé, sulle sue passioni ed i suoi desideri, che rivendica voglie e diritti e non riconosce doveri e valori. Quello che spesso tutti noi rischiamo a volte di essere, ma soprattutto un modello disastroso, se diventasse la base del nostro vivere sociale.
Nella storia è un cervo da lui ferito a morte che lo rimprovera: “se non impari a diventare padrone dei tuoi impulsi e desideri, finirai per compiere i peggiori delitti, fino ad uccidere chi ti ha donato la vita”.
Giuliano allora fugge lontano dalla sua casa, nell’illusione che la radice del male fosse fuori di lui, nei luoghi, nelle situazioni, nei fatti che gli capitavano. La legenda insegna invece che: la lotta tra bene e male, tra istinto e ragione, tra desideri senza freni e doveri sacri, non dipende da ciò che è fuori di noi, ma da ciò che avviene nel nostro cuore.
Giuliano, andato lontano dalla sua terra trova una sposa ed una casa. Sembra che tutto vada bene, ma mentre lui è in viaggio giungono per caso alla sua casa i suoi genitori e la sua sposa li accoglie, offrendo loro ospitalità nella stanza nuziale.
Giuliano torna di notte, vuol sorprendere la sua sposa di cui non ha imparato a fidarsi, vede un uomo ed una donna nel suo letto e pensa subito ad un tradimento, così si lancia e con la spada uccide i due. Solo allora accende la lucerna ed accende anche la mente e si accorge di avere ucciso i suoi stessi genitori.
Una storia truce, ma che insegna come l’umanità possa restare primitiva e bestiale anche: con una bella casa, con una sposa e con armi nuove ed evolute, con ricchezze che permettono di viaggiare e vedere il mondo.
Se volete una prova basta aprire gli occhi sulle guerre ipertecnologiche che ci circondano. Non siamo forse dei bruti se spendiamo il 90% del nostro pensiero per progettare come ucciderci a vicenda piuttosto che per trovare vie di convivenza, di giustizia e di pace?
Se, come dicono i Padri del deserto, non purifichiamo il nostro cuore dai sentimenti disordinati, se non diventiamo signori e padroni del nostro intimo, la regressione alla vita della giungla è dietro l’angolo per ognuno di noi. Il confine tra l’uomo ed il bruto passa per il suo cuore, per la sua libertà che non diventi arbitrio, per la cura di sé che non scada nell’egoismo individualista, per la chiara coscienza che i desideri e le voglie debbono bilanciarsi con i doveri ed i valori.
Dice il Poeta nel XXVI Canto dell’Inferno: «Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza».
La seconda parte della Legenda di S. Giuliano è quella che, come pellegrino penitente, lo porterà fino a noi, fino alle rive del Potenza dove finirà la sua vita facendo per carità l’ospitaliere ed il traghettatore.
Questa seconda storia ci insegna che la via della ricostruzione di sé, della ricostruzione dell’unità familiare, del recupero della pace interiore e della vera felicità, è lunga e faticosa.
Giuliano da bruto a beato, da violento a uomo felice, dovrà fare un lungo cammino, che ci viene offerto come modello e guida dalla sua storia. Giuliano si fa pellegrino per scoprire che vale più il cuore che tutto ciò che ci circonda. Si fa pellegrino per imparare ad amare la sua sposa, camminando a lungo, fianco a fianco. Si fa pellegrino per scoprire, nel servizio generoso ai poveri ed agli ultimi, che «c’è più gioia nel donare che nel ricevere» (Atti 20,35).
La seconda parte della vita di San Giuliano è la via verso la beatitudine, verso la felicità. Una strada a cui tutti giustamente aspiriamo.
Ma permettetemi di chiudere citando il fondatore della Logoterapia, un ebreo sopravvissuto ai capi di sterminio, che ha indicato nel recupero di una vita ricca di senso e valori, la vera strada di un progresso umano: Viktor Frankl.
In una delle sue ultime interviste prima di morire nel 1997 diceva: “Vorrei contraddire la Dichiarazione d’Indipendenza Americana, là dove menziona il «perseguimento della felicità». Io ritengo che «perseguire la felicità» sia una contraddizione in termini. Perché la felicità non si può mai davvero perseguire. La felicità si deve conseguire; la felicità è un effetto collaterale, è una conseguenza, e tale deve rimanere, della realizzazione di un significato, della nostra dedizione ad un compito, a una causa più grande di noi o ad una persona diversa da noi stessi” (V. Frankl, Abbracciare la speranza, Mondadori, 2024, 37).
Il mio augurio per questo san Giuliano è rivolto a tutti, a partire da quanti hanno responsabilità amministrative e politiche, a tutte le autorità civili e militari. Rileggiamo con mente e cuore ben desti questa Legenda fondativa della nostra identità di popolo maceratese. In un mondo che si brutalizza il primo dovere di una città universitaria è: non disgiungere mai l’impegno di sequela di “virtute e conoscenza”.