Saluto a Symbola

22-11-2025

Come ogni anno sono felice di portare a tutto il mondo degli amici di Symbola il saluto e l’incoraggiamento, non solo della nostra diocesi, ma come Presidente, anche della Conferenza Episcopale Marchigiana.

Ciò che ho sempre apprezzato di Symbola è che in questi anni, dedicati alla riflessione sul problema dello spopolamento delle aree interne ed in particolare dei territori del cratere sismico, Symbola ha sempre riconosciuto la complessità del problema, che non può essere risolto con improvvisazioni o l’evocazione di miracolosi interventi statali.

Anche la Conferenza Episcopale Italiana, ormai da anni, sta riflettendo sulla problematica delle aree interne e montane, ben cosciente della complessità della sfida.

Di fatto i fenomeni della crescente concentrazione di popolazione nelle aree urbane e di spostamento dalle zone montane ed interne verso le fasce costiere, in cui è più facile la comunicazione e l’interconnessione tra i centri urbani, non sono fenomeni locali, ma hanno una evidente e consolidata dimensione globale. La civiltà dei piccoli borghi è ormai da tempo soppiantata a livello globale da quella delle grandi città costiere, che tendono a diventare sempre più grandi ed interconnesse solo tra loro.

Negli anni scorsi la riflessione di Symbola ha messo in luce i piccoli e grandi disastri che questo tipo di cambio culturale comporta per i territori, con i danni ecologici connessi ed anche con il disastro che comporta per l’ecologia umana. L’inurbato anonimo e senza radici, povero di socializzazione e di produzione culturale comunitaria, è un tipo umano che difficilmente possiamo considerare più evoluto è più positivo e propositivo, dell’uomo che abbiamo conosciuto finora.

Davanti a questi fenomeni globali non basta sognare un’inversione di tendenza, o una soluzione che si regga solo su un assistenzialismo statale antieconomico e quindi destinato inevitabilmente a durare poco.

Non basta ricostruire le case e le chiese come erano e dove erano, non basta incoraggiare a restare chi vi abitava o sperare in un sempre più improbabile ritorno di chi si è trasferito e si è abituato ad uno stile di vita del tutto diverso.

Per questo ritengo interessante e stimolante, anche se complesso, il vostro concetto di neopopolazione dei territori analizzato negli ultimi anni. Rafforzato da una nuova economia nella gestione del patrimonio boschivo e nella progettazione di nuove modalità di turismo a valorizzazione enogastronomica ed artistica dei piccoli borghi.

Come giustamente state dicendo non basta la resilienza ed il ritorno, ma è necessaria una neopopolazione dei territori da incoraggiare e sostenere. Questo comporta però inevitabilmente, come state più recentemente notando, l’elaborazione di una neocultura delle aree interne e dei borghi.

A prima vista questa sembrerebbe una proposta che venga inutilmente a complicare una situazione già difficile. Ma un nuovo modo di abitare il territorio non può realizzarsi se non con l’elaborazione di una nuova cultura, un nuovo stile di vita, che per tanti versi deve essere alternativo a quello dell’inurbamento individualista e consumista che caratterizza le città moderne.

La via più credibile sembra quindi quella dell’elaborazione di una neocultura dell’abitare e del produrre nelle aree interne, che risulti dall’incontro virtuoso tra la cultura resiliente delle comunità che hanno storicamente abitato i borghi e gli apporti culturali dei nuovi abitanti.

Come vescovo di padre Matteo Ricci, in questi ultimi anni ho approfondito con interesse la proposta culturale che questo grande missionario maceratese fece all’inizio del 1600, in alternativa alla visione missionaria colonialista delle grandi potenze del tempo, cioè gli spagnoli e i portoghesi. Padre Matteo Ricci, a partire dal concetto classico e soprattutto cristiano dell’amicizia, propose la produzione di una neocultura Missionaria, oggi definita tecnicamente “inculturazione”.

Si trattava di un modello alternativo sia alla colonizzazione chi ha il semplice meticciato culturale. L’inculturazione comporta, attraverso lo strumento concettuale del dialogo amichevole, una valutazione comune e concorde delle ricchezze culturali che i gruppi umani destinati ad incontrarsi e a convivere in uno stesso territorio possono mettere in campo, in vista dell’elaborazione di una nuova cultura, che comporti l’adozione comune di quanto di meglio e di più adatto appare in ogni cultura di partenza, in vista dell’abitare e del promuovere la vita nella sua pienezza in un dato territorio. Un territorio non è però solo un contenitore neutro, infatti ogni contenitore da forma al suo contenuto. Perciò la cultura storica resiliente è quella più adatta a vivere nel contenitore territoriale, ma può utilmente trovare nella cultura che viene ospitata soluzioni ed innovazioni preziose per un nuovo e più efficiente modo di abitare l’ambiente.

Il rischio è un conservatorismo miope, che si ammanta di protezione dell’ambiente e della cultura locale, ma in realtà le mette a rischio estinzione. Infatti, in natura ed in ambito culturale umano, ciò che non cresce e quindi si modifica positivamente, ben presto muore.

Se studiate la storia è l’azione missionaria di padre Matteo Ricci vedrete con quale ampiezza di analisi e coraggio di proposta cercò di portare avanti questo suo progetto.

Dal dialogo tra il sistema valoriale cristiano e quello confuciano, all’interscambio tra la tradizione matematica cinese e la geometria euclidea, alla realizzazione di dipinti che realizzavano stilemi tradizionali cinesi attraverso la tecnica della pittura ad olio e dello sfumato occidentale. Dall’applicazione dell’esperienza di regimentazione delle acque e bonifica dei territori malarici, che la civiltà dei monasteri aveva fatto evolvere a partire dai trattati di idraulica degli antichi romani, alla loro applicazione nella zona territoriale dell’odierna Shanghai. La attuò colui che è oggi considerato in Cina il fondatore delle Città. Era l’amico ed alunno di padre Matteo Ricci il nobile Xu Guangqi a cui è stato dedicato a Macerata un nuovo monumento nei mesi scorsi.

Grazie per quanto state facendo con impegno nella logica di una progettazione che vuol realizzare qualcosa di concreto a partire da subito, ma guarda ai tempi lunghi. È qualcosa di cui la politica odierna avrebbe un grandissimo bisogno.

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