Fin dalla celebrazione di questa veglia e per tutto il giorno di domani le tante letture bibliche che la liturgia ci popone hanno una sola finalità basilare: aiutarci a vivere la Pasqua.
Il primo significato di questa parola ebraica è legato fin dall’antico testamento all’idea del passaggio, del cambiamento di luogo e quindi di condizione di vita. È il passaggio dalla notte alla luce, che simbolicamente ha aperto questa veglia. È così il passaggio dalla schiavitù del peccato, alla libertà della vita buona del vangelo.
Le letture della veglia insegnano che la schiavitù del peccato è davvero la peggiore delle schiavitù: Israele imparò a sue spese che non bastava non avere più le catene ai polsi, se il peccato manteneva ancora le catene sul nostro cuore. Una vita “non buona” è una vita schiava, anche se vissuta negli agi e nella possibilità di fare tutto ciò che si vuole. Soprattutto è ancora schiava una vita rinchiusa solo nella prospettiva di questo mondo e del suo tempo che finisce con la morte.
Non c’è per noi un vero passaggio dalla schiavitù alla libertà, se non è anche e radicalmente un passaggio dalla morte alla vita.
In questa notte questo passaggio viene annunciato nella gioia: il Signore è risorto e ci ha aperto il passaggio dalla morte alla vita.
Nelle letture del giorno di pasqua questo insegnamento raggiunge la sua forma più piena: di annuncio del Signore risorto e vivo. Incontrare Lui, sperimentare questo incontro col Cristo nella vita, è davvero il segreto della Pasqua.
Il passaggio cruciale nella vita di ogni uomo, è infatti quello che si attua tra una vita che non ha ancora incontrato personalmente Cristo ed una vita che da questo incontro si è lasciata trasformare.
Gli Atti degli Apostoli che leggeremo domani (Atti 10,34-43) presentano questo annuncio di resurrezione sulla bocca di Pietro, come diretto ad un ufficiale romano, espresso quindi in un linguaggio comprensibile anche per un pagano. Pietro sintetizza così il messaggio pasquale: “Gesù è passato nel mondo facendo del bene, gli uomini hanno cercato di bloccare il suo cammino uccidendolo, ma Dio lo ha risuscitato, ed ora chiunque crede in Lui può ottenere, grazie a Lui, il perdono dei peccati”.
“Grazie a Lui” dice Pietro: tutto si gioca infatti nella relazione con Gesù Signore, tanto che se questa mancasse, tutto il resto non avrebbe nessun significato.
Il cuore di questo annuncio, un grandissimo spirituale come Dostoevskij, lo sintetizza così in una sua lettera ad una amica:
“Di me Le dirò che io sono figlio del mio secolo, figlio della miscredenza e del dubbio, e non solo fino ad oggi, ma tale resterò (lo so con certezza) fino alla tomba. Quali terribili sofferenze mi è costata – e mi costa tuttora – questa sete di credere, che tanto più fortemente si fa sentire nella mia anima quanto più forti mi appaiono gli argomenti ad essa contrari! Ciononostante Iddio mi manda talora degl’istanti in cui mi sento perfettamente sereno; in quegl’istanti io scopro di amare e di essere amato dagli altri, e appunto in quegl’istanti io ho concepito un simbolo della fede, un Credo, in cui tutto per me è chiaro e santo. Questo Credo è molto semplice, e suona così: credere che non c’è nulla di più bello, di più profondo, più simpatico, più ragionevole, più virile e più perfetto di Cristo; anzi non soltanto non c’è, ma addirittura, con geloso amore, mi dico che non ci può essere. Non solo, ma arrivo a dire che se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità e se fosse effettivamente vero che la verità non è in Cristo, ebbene io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità”. (F. Dostoevskij, Lettera a Natalija Dmitrievna Fonvizina, 1854)
Questo è vivere la Pasqua, accogliere tutti i momenti e questa note potrebbe essere uno di quelli, in cui Dio ci dona la luce per intravvedere la fede, in questo mondo tenebroso. Momenti in cui, nel bene ricevuto e donato, in quella vita buona del vangelo che ogni tanto ci è donato di vivere con più intensità, intuiamo che Gesù è vivo e vicino e che la Sua presenza è la cosa più preziosa e bella.
A quei momenti leghiamo la nostra anima, per attraversare le tenebre del dubbio e del peccato.
Alla professione di fede che sgorga in quei momenti di verità e di luce, manteniamoci fedeli dicendo con forza: “Io credo in te Signore, risorto e vivo”.